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Guardare il dito di S&P o la luna di questa tragedia?

La mia analisi per Diritto di Critica (con qualche piccolo bonus content qua e là 😉 )

Venerdì 13 gennaio l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha nuovamente calato la sua mannaia sui debiti sovrani di nove Paesi europei, fra cui l’Italia (ora giudicata BBB+) e Francia (che ha perso la propria tripla A). Subito dopo sono scattate le solite reazioni da parte sia di esponenti politici che dell’uomo della strada all’attacco di S&P’s: ma quanto è colpa dell’agenzia di rating, e quanto, invece, è dei governi europei?

Le obiezioni che vengono solitamente volte alle agenzie di rating vertono su due direttive principali. La prima è che le agenzie di rating non sarebbero affidabili, ricordando che tali agenzie avevano ritenuto da tripla A anche i celebri mutui subprime che causarono la crisi pochi anni or sono. Tuttavia la differenza fra i giudizi espressi per il debito sovrano e quelli per i titoli salsiccia è enorme: mentre sui secondi il giudizio è complesso, a causa del fatto che ancora oggi non si è in grado di capire come tali titoli siano stati costruiti (e dunque vi è enorme asimmetria informativa che ha fuorviato le agenzie di rating), sui titoli di Stato il discorso è ben diverso. Gli Stati, infatti, rilasciano enormi quantità di dati pubblici, come quelli relativi alla contabilità generale (PIL, debito, inflazione, disoccupazione e moltissimi altri) oppure quelli relativi alle politiche da attuare (leggi, decreti, regolamenti, ma anche l’attività pubblica di partiti e altre associazioni come sindacati, corporazioni, eccetera).

I dati a disposizione per giudicare il merito di credito degli Stati sono dunque molto più numerosi, e le dinamiche del debito pubblico sono studiate da molto più tempo rispetto a titoli costruiti da una scienza ancora in fase adolescenziale (e quindi molto carente di senno e buonsenso). Attaccare dunque le agenzie di rating in base agli errori passati appare alquanto grossolano: si tratta di due situazioni assolutamente differenti, dunque non si può dire che se le agenzie hanno sbagliato all’epoca, allora stanno sbagliando anche adesso.

Per capire se errore vi è, è necessario analizzare la seconda direttiva, che può essere riassunta nel motto “È un complotto“. Si tratterebbe, insomma, di un attacco da parte di speculatori (fra cui le agenzie di rating medesime) che scommettono sul crollo dell’Europa, e che perciò non bisogna dare retta a Standard & Poor’s: il quadro economico non è a tinte così fosche. Ma è davvero così?

Gli addetti ai lavori sanno bene che le agenzie di rating, in questo caso, hanno ragione, e anzi, sono molto in ritardo. La crisi europea è infatti ben lontana dall’essere risolta, per due ordini di ragioni, una nazionale, l’altra europea. Di queste ragioni si parla ormai da mesi, se non da anni, ma i governi europei hanno preferito gridare alla speculazione piuttosto che affrontare una situazione pericolosa, ma non ancora tragica. Si pensi alla gestione della crisi greca, assolutamente dilettantesca, per non dire pazza: la Grecia poteva salvarsi da tempo, a patto di avere il necessario buonsenso. Non ce n’è stato punto. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: in questi giorni la Grecia si avvia a forzare le trattative (e quindi va verso il default), mentre l’Europa, prima di salvare la Grecia, dovrà salvare il fondo europeo salva-Stati che doveva salvare la Grecia.

Colpa delle agenzie di rating anche questo? Non si direbbe. Vediamo dal punto di vista degli Stati: molti Paesi europei hanno sempre più evidenti squilibri di finanza pubblica. Il debito pubblico cresce più velocemente del PIL (ammesso che quest’ultimo cresca), e la risposta che è stata data è l’imposizione di una manovra incredibilmente prociclica, che cioè favorisce l’approfondirsi della recessione ormai in atto. Si prenda il caso dell’Italia: le tasse sono state più e più volte aumentate negli ultimi mesi pur di tenere in equilibrio le finanze, ma di misure per la crescita si comincerà a parlare solo fra qualche giorno. S&P’s avrebbe dovuto tenerne conto? Sì, e lo ha fatto. E ha evidenziato i dubbi circa l’efficacia dell’attuazione della cosiddetta “fase 2”: la fase 2 riguarda la dissoluzione dei privilegi di casta, di caste che mettono le mani nelle tasche di chi casta non è (titolari di reddito fisso, precari, disoccupati, eccetera), però nel momento in cui si comincia a parlare di distruggere tutti questi tumori, subito emerge la metastasi, e tutti (avvocati, notai, farmacisti, tassinari, banche, petrolieri, grandi monopoli, mafie, eccetera) rispondono che prima bisogna toccare i privilegi di qualche altra casta, poi forse si potrà avere udienza. E la politica appoggia ora questa ora quella categoria. In questa situazione, in cui il Paese non riesce a rendersi conto della fatalità della crisi in atto e continua a ciarlare e a difendere i parassiti (evasori montanari compresi), come potrebbe S&P’s consigliare ai propri clienti di essere ottimisti sull’Italia?

E veniamo infine al punto di vista europeo. C’è un’anomalia evidente: perché l’Inghilterra, che sta messa peggio della Francia, mantiene la tripla A? La risposta è ovvia: l’Inghilterra ha una banca centrale con pieni poteri di banca centrale, mentre la Francia ha la BCE, che invece non ha tali pieni poteri, e anzi è oggetto di un pericoloso shibari da parte dei tedeschi. Altrettanto ovvia la conseguenza: l’Inghilterra può attuare una politica fiscale restrittiva (prociclica), poiché la sua banca centrale potrà stampare moneta e quindi attuare una politica fiscale espansiva (anticiclica) che può contrastare gli effetti depressivi della manovra fiscale. La Francia e gli altri Paesi europei no. Visto che l’uscita dall’euro comporterebbe la benzina a cinque euro e il caffé a tre (ovvero una catastrofe che si sentirà nei secoli futuri), occorrerebbe che la BCE avesse pieni poteri. Ma c’è un Paese che fa il primo della classe e dice no a questa soluzione.

Questo Paese è la Germania, ed è il Paese che ha cannibalizzato l’Europa: quasi tutti i Paesi europei sono in deficit sulla bilancia commerciale, mentre la Germania ha un surplus quasi speculare. In altre parole, la Germania si arricchisce, gli altri Paesi si impoveriscono. In un’unione vera (come gli Stati Uniti), oltre a una banca centrale vera, ci sarebbero anche meccanismi volti a perequare queste differenze, e pure molte altre. Occorre dunque un’Unione Europea più forte, che tenga conto non solo dei problemi di bilancio, che non chieda ai Paesi solo di alzare le tasse (che è la scorciatoia verso la morte), ma che si faccia garante del riequilibrio di tutti gli squilibri dell’Eurozona, senza permettere a un Paese di cannibalizzare gli altri.

I Paesi europei hanno capito tutto questo? La risposta è no, e c’è il pericolo che non lo capiranno finché non si sarà a un passo dall’apocalisse, ovvero troppo tardi. E di fronte a questa incapacità di capire il problema, non si può che essere pessimisti circa il riuscire a trovare una soluzione. Le agenzie di rating indicano la luna, sarebbe ora di cominciare a smettere di prendercela con il dito.

Photo credits | Jahn Henne. (Own work) [GFDL or CC-BY-SA-3.0], via Wikimedia Commons

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