Oggi in Italia abbiamo un gravissimo problema: gli anziani si ostinano a rimanere attaccati al proprio posto di lavoro, rubando così il lavoro ai giovani. Questa piaga è, a mio modesto avviso, risolvibile in modo facile ma al contempo rivoluzionario, mandando tutti in pensione fra 40 e 50 anni rendendo il lavoro ereditario. In poche parole un padre e una madre dovranno mettere al mondo due figli, addestrandoli sin da piccoli alla propria mansione in modo tale che, al raggiungimento dei quindici anni, il figlio o la figlia possa prendere il posto del padre o della madre, i quali potranno in tal modo godersi la pensione, e così via di generazione in generazione.
Gli imprenditori/padroni/capitalisti potrebbero obiettare che quei giovani non sono bravi quanto i genitori e di non volerli in azienda. Obiezione magari legittima, ma irrilevante. Il nostro obiettivo dare lavoro a tutti e c’è un solo modo per farlo: rendere tutto superfisso, poiché in un sistema economico in cui vi sono frizioni, ci sono inevitabilmente disoccupati. Dunque la soluzione a tutti i problemi è una sola: esisteranno solo gli attuali X posti di lavoro perché ci saranno soltanto X lavoratori che produrranno tot beni, prenderanno un tot di stipendio e che avranno un tot di pensione, e tutti consumeranno ciò che produrremo, ovvero quanto è stabilito e pianificato dallo Stato. Per ogni lavoratore che esce dovrà esserci un lavoratore entra.
Vi sono alcune critiche che possono essere fatte a questo modello, specie nella fase di transizione, i più evidenti dei quali sono i seguenti:
- che fare delle famiglie con più di due figli, ovvero di altre situazioni in cui i figli per genitori sono più di uno?
- che fare con i figli di coloro che oggi sono disoccupati o inabili al lavoro?
- come affrontare il problema del numero crescente di pensionati cui si dovrà corrispondere una pensione?
Se due genitori avranno tre figli, ovviamente uno resterà senza lavoro, senza futuro, e ciò è inaccettabile, senza contare che quel terzo figlio non potrà avere nutrimento, poiché gli stipendi che lo Stato corrisponderà ai genitori basterà solo per due figli, mentre il terzo finirà inevitabilmente per morire di fame. In altre parole, nel nostro modello superfisso non possiamo prevedere che una famiglia abbia più di due figli, pertanto fare un terzo figlio senza il permesso dello Stato non sarà possibile. Sarà possibile mettere al mondo un terzo figlio solo se un’altra famiglia ne avrà meno di due, e ad essa tale terzogenito verrà affidato. Resta solo da risolvere il problema dei terzogeniti (e oltre) che sono già nati. I bambini fino a cinque anni, ovvero ancora “addestrabili” verranno affidati a famiglie con meno di due figli. Nel caso non vi siano abbastanza bambini per formare famiglie di quattro persone verranno utilizzati i bambini di sei anni, nel caso non bastassero ancora quelli di sette e così via. Tutti i terzogeniti che avanzano verranno macellati e dati in pasto agli inglesi.
Ovviamente nel monte bambini da affidare rientreranno anche i figli dei disoccupati: dato che non è possibile creare nuovi posti di lavoro (poiché ciò genererebbe nuove frizioni, incompatibili con il modello) essi non potranno mantenere non solo sé stessi, ma neppure i propri figli, i quali dovranno esser loro tolti ed affidati a famiglie con genitori con un posto di lavoro da lasciare loro in eredità. Quanto ai disoccupati esistenti ed eventuali figli avanzati, li si potrebbe lasciare semplicemente morire di fame, ma ritengo sarebbe più umanitario dare anch’essi in pasto agli inglesi.
C’è infine l’ultimo problema, e cioè che un sistema in cui si esce presto dal lavoro mentre l’aspettativa di vita si allunga semplicemente non regge. Dicono i critici che un tizio lavora per 35 anni avrà versato contributi per la propria pensione solo per una decina d’anni, sicché se uno che esce dal lavoro a 60 anni, potrà campare di soldi propri solo fino a 70, meno dell’aspettativa di vita attuale, dopodiché la pensione che lo Stato gli dovrà erogare dovrà essere prelevata dai lavoratori, ovvero prelevando dal loro stipendio con maggiori tasse oppure con maggiori contributi obbligatori. Obiettano questi critici che in un sistema come quello che ho proposto, in cui si va in pensione al massimo a 50 anni dopo aver lavorato per circa 35, questi pensionati avranno sperperato i propri contributi a 60, dopodiché dovranno campare, in media, un’altra quindicina di anni rubando così non solo tutta la pensione dei propri figli, ma pure parte di quella dei nipoti (oppure, che poi è lo stesso, con le tasse pagate dai figli e dai nipoti).
Come i più attenti (cioè tutti) dei miei amati lettori avrà avuto modo di notare, questa critica è facilmente aggirabile: una volta che il pensionato avrà finito i propri contributi, non riceverà più alcuna pensione, poiché anche il numero dei pensionati sarà superfisso. Chi continuerà a campare oltre, verrà comunque trasformato in hamburger e dato in pasto agli inglesi.
Spero con questo post “satirico” di avere chiarito un punto ed aver demolito una credenza più che mitologica, che trova subito molto spazio fra chi non ha studiato economia e talvolta anche fra chi lo ha fatto perché decisamente intuitiva, ovvero che la credenza che un vecchio che va in pensione libera un posto a un giovane e siamo tutti più contenti. Di seguito un’analisi un po’ più seria.
Chi crede in questa scemenza è un fan (inconsapevole o meno) di un modello economico battezzato da Sandro Brusco come “modello superfisso“, che non è tanto una teoria economica, quanto piuttosto il modello cui si ispirano i maggiori errori in materia economica, ovvero un modello che spiega perché tanta gente non capisce una mazza di economia, parte degli economisti compresi. Rimando all’articolo di Brusco (che tra l’altro in tre righe in fondo al suo articolo riassume quanto sto per dire) per i dettagli, casomai sono a vostra disposizione. Intanto basti sapere che il modello superfisso funziona solo nella realtà splatter descritta alla pagina precedente. E neppure funzionerebbe del tutto.
Veniamo a noi affermando che un vecchio che rimane al lavoro non ruba un posto di lavoro a un giovane, mentre un vecchio che esce dal lavoro troppo presto rispetto all’aspettativa di vita ruba la pensione al giovane (che poi è il motivo per cui in questi giorni si parla tanto di riforma delle pensioni: oggi il sistema pensionistico prevede una pensione da fame per chi oggi entra nel mercato del lavoro perché in passato e ancora oggi troppa gente esce dal lavoro troppo presto). Chi chiede ai vecchi di uscire per fare posto ai giovani, in linea con la solita ignoranza in materia economica, non capisce che questo aggrava il suo problema, non lo risolve.
Il problema della disoccupazione (in generale, ma soprattutto giovanile) non è il vecchio che non se ne va. Chi propone questa sciocchezza presuppone che il mercato del lavoro sia cristallizzato, e cioè che per ogni vecchio che esce dal mercato del lavoro c’è un ed un solo giovane che lo sostituisce. Questo è falso: oggi per ogni vecchio che esce, di disoccupati in lista d’attesa ce ne sono tre o quattro. E ce ne sono tre o quattro perché ci troviamo in una economia che da tempo ormai i posti di lavoro li distrugge, invece di crearli. Non solo, ma per troppo tempo ha creato baby pensionati (un terzo del totale dei pensionati ha meno di 64 anni, dice l’ISTAT). Esperienza personale: il dirimpettaio di pianerottolo dei miei genitori, tutti e tre coetanei, è da circa quindici anni in pensione, mentre i miei genitori dovranno lavorare per altri dieci almeno (e sia chiaro, il vicino non ha difetti fisici, mentali e quant’altro che lo rendano inabile al lavoro: ha solo approfittato della legge).
Per cui il problema delle pensioni non si risolve mandando in pensione anticipata i vecchi, anzi, questo crea problemi ai giovani, perché crea più pensionati cui dovranno pagare i contributi.
Al contrario, il problema si risolve eliminando le leggi che favoriscono i baby pensionati e adeguando l’età pensionabile all’aspettativa di vita, perché chiunque sia abile al lavoro (beninteso, fino a una certa età da calcolare appunto in base all’attesa di vita) deve lavorare, non parassitare (oppure, se proprio vuole uscire presto, si paghi la pensione coi propri risparmi, invece che con le tasse e il lavoro di tutti gli altri). In questo modo ogni lavoratore si pagherà più anni di pensione (o, più esattamente, non sarà il parassita delle pensioni dei giovani, come accade invece oggi), com’è giusto che sia.
Non solo, ma questo contribuirà a liberare risorse per compiere la mossa decisiva per risolvere il problema del lavoro. Abbiamo detto che il problema è che in Italia da troppo tempo il lavoro viene distrutto. Dobbiamo quindi invertire la tendenza, ovvero creare lavoro. E per creare lavoro bisogna creare sviluppo e per creare sviluppo servono investimenti, quindi quattrini. E questi quattrini possono essere ricavati (in parte) dall’aumento dell’età pensionabile (oltre che dalle altre misure che ho elencato mesi addietro).
Proviamo a dirlo in altro modo: ogni nuovo pensionato è un “peso” che grava sui lavoratori. La pensione, infatti, viene pagata da chi lavora con le tasse e con i contributi. Spingere il vecchio ad uscire per far entrare il giovane comporta che quest’ultimo debba accettare uno stipendio netto inferiore adesso (le tasse aumentano per pagare la pensione del vecchio) e una pensione inferiore domani (poiché diminuiscono i soldi che si possono versare come contributi – ricordo che per gli assunti dal 1996 la pensione si calcola in base ai contributi). Non solo: non è detto che l’uscita del vecchio dal mercato del lavoro comporti automaticamente la liberazione di un posto di lavoro. Un’azienda in difficoltà potrebbe decidere di non assumere, dunque lo Stato dovrebbe pagare una nuova pensione senza ricevere le tasse che verrebbero pagate dal neoassunto; lo Stato, a sua volta in difficoltà, potrebbe decidere di non assumere un nuovo dipendente pubblico, in questo modo evitando di pagare uno stipendio, oltre alla pensione del nuovo pensionato. E non stiamo parlando di un problema immaginario: questa è una cosa che avviene già oggi. Ci sono troppi pensionati rispetto a chi lavora, e questa è una delle cause del disequilibrio nei conti dello Stato (ed è un disequilibrio di lungo termine e di dimensioni mostruose e non ancora ben comprese neppure dalla politica, a cominciare da Bossi, che ormai è tutto un ictus). Non si capisce quindi come sia possibile risolvere il problema aumentando i pensionati lasciando invariato il numero dei lavoratori (abbiamo detto “un vecchio esce, un giovane entra”). Non è possibile, infatti: se oggi 70 pensionati gravano su 100 lavoratori, seguendo la formula magica “vecchio fuori giovane dentro”, domani ci saranno 71 pensionati che graveranno su 100 lavoratori e via di seguito.
Se il problema della disoccupazione, specie giovanile, fosse risolvibile mandando in pensione i vecchi, andremmo tutti in pensione a trent’anni. L’avremmo già fatto da decenni. Invece no: andare in pensione troppo presto rispetto all’aspettativa di vita crea un mare di problemi non ai pensionati, quanto agli stessi giovani (me compreso). Perché questi giovani prima o poi dovranno andare in pensione perché ci saranno altri giovani a reclamare il loro posto di lavoro. E la matematica non è un’opinione: non ci saranno pensioni per tutti, e i giovani che oggi gridano ai vecchi di andarsene, quando saranno vecchi tenteranno in tutti i modi di mantenere il posto, perché andare in pensione significherà morire di fame.
Le questioni delle pensioni e della disoccupazione, quindi, non si risolvono con formule magiche derivanti dal modello superfisso. Il mercato del lavoro non è immutato e immutabile nei secoli, ma si muove secondo regole ed interconnessioni troppo complesse per essere eccessivamente semplificate. Per quanto possa sembrare controintuitivo, lo ripeto, un vecchio che va in pensione troppo presto crea problemi ai giovani, specie al giovane che ne ha preso il posto.
Il problema del lavoro e quello della pensione si risolve con la crescita, non con la macelleria (sociale) mascherata da “largo ai giovani”.