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Gli indignados sbarcano in Italia. Ma nel porto sbagliato.

Madrid demonstration 0802

Per Diritto di Critica.

Gli indignados sono infine sbarcati anche in Italia e, da buoni italiani, dimostrano quanto il deficit di educazione ed informazione in materia economica e finanziaria stia facendo più danni che altro a questo Paese, basti vedere uno dei cartelli mostrati durante le proteste dei giorni scorsi, che si scaglia contro il prestito d’onore, ovvero un prestito (per il 60% a fondo perduto e per il resto a tasso agevolato) dato sulla parola (ovvero sull’onore) di giovani imprenditori con un’idea promettente o a giovani studenti preparati e ambiziosi ma privi di mezzi economici per proseguire gli studi.

Il bersaglio delle loro azioni di protesta è la Banca d’Italia, che viene vista come la principale responsabile del nostro debito pubblico, per motivi che sono incomprensibili, se non si sfocia nella cecità ideologica.

La Banca d’Italia è oggi un organismo pubblico di controllo e vigilanza sull’attività bancaria. Il capitale è per larga parte di proprietà delle banche italiane a garanzia del fatto che la Banca d’Italia non possa fallire e perché quest’ultima possa intervenire nel caso fosse necessario salvare una banca italiana: in questo modo si garantisce la stabilità del sistema bancario, il quale, altrimenti, manderebbe in crisi aziende e amministrazioni pubbliche e, di conseguenza, produrrebbe legioni di disoccupati ben più folte e tragiche di quelle già oggi presenti.

La leggenda secondo la quale le banche stanno nella Banca d’Italia per incamerarne il reddito da signoraggio è, appunto, una leggenda: sugli utili lordi la Banca d’Italia paga le tasse allo Stato italiano (ovvero ai suoi cittadini); gli utili netti vengono trasferiti, fra il 60 e l’80%, allo Stato italiano (ovvero, di nuovo, ai cittadini); dal 20 al 40% vengono lasciati nelle riserve della Banca, per essere utilizzati in caso di crisi finanziarie; poche briciole (per statuto ovvero per legge) restano da spartire ai partecipanti (ovvero a banche, INPS e INAIL), e comunque non provengono dall’attività di emissione di moneta, bensì dagli investimenti delle riserve della Banca nell’anno precedente.

Nonostante Bankitalia sia di proprietà delle banche, l’attività di vigilanza sulle banche stesse è demandata al Governatore e al Direttorio della Banca d’Italia, e subito si capisce perché l’azione degli indignados italiani manchi completamente il bersaglio: Governatore e Direttorio, infatti, sono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio. Si tratta dunque di scelta che nasce non nelle banche, ma nella politica.

Ed è ancora nella politica che nasce il problema del debito pubblico. Dagli anni Settanta lo Stato (o meglio la politica) scopre che è possibile risolvere miracolosamente i problemi facendo dei debiti che sarebbero stati ripagati anni e anni dopo. Si cominciò con il sostenere l’economia italiana durante e dopo la crisi petrolifera degli anni Settanta, per poi continuare negli anni Ottanta, quando, sotto le spinte degli sprechi dei governi Craxi, il debito pubblico raddoppiò nel giro di pochi anni. Negli anni Novanta si tentò di tamponare questa falla con due misure, che ebbero grandi effetti fino alla fine degli anni Novanta: un più elevato prelievo fiscale e l’entrata nel circolo dell’euro, con tassi d’interessi più bassi che avrebbero (e hanno, fino al 2011) reso più facile il pagamento del debito.

Se non che, con il nuovo secolo, i governi Berlusconi riprendono a far esplodere la spesa pubblica senza riuscire a stimolare la crescita economica (cosa che almeno a Craxi riuscì): l’eredità dei governi di centrosinistra, che avevano portato il debito pubblico ai minimi da oltre dieci anni, viene polverizzata e il debito pubblico ritorna, nel 2011, ancora regnante Berlusconi, sui massimi storici di inizio anni Novanta (con la notevole eccezione del governo Prodi del 2006, che lo riportò nuovamente ai minimi precedenti). Intanto il Paese, in un decennio di riforme sempre annunciate e mai applicate (spesso neppure proposte alle Camere, rimanendo slogan elettorali), è cresciuto di appena lo 0,5% annuo.

La colpa di questa crisi non è delle banche, in nessuna parte del globo. Ovunque la colpa è della politica, compresa quella statunitense, che diede il la alla grande crisi di inizio secolo nel 1999 (sotto Clinton) con la riforma della legge bancaria (che oggi si vuole abrogare reintroducendo la cosiddetta Volcker Rule, al fine di separare le attività di trading da quelle proprie di una banca, come l’erogazione di mutui e altri investimenti non altamente rischiosi) e proseguendo con le guerre e i tagli alle tasse dei ricchi varati da Bush. Analoghi discorsi possono essere fatti per i Paesi europei, a cominciare dai PIIGS.

Gli indignados, insomma, sembrano essere vittime del depistaggio della politica circa le cause della crisi, e in ultima analisi, come detto, dell’analfabetismo imperante sulle materie economiche, di cui la cattiva politica è sia causa che conseguenza attraverso i mass media. Basti pensare alle pernacchie di Maurizio Lupi e di Giuliano Ferrara contro le agenzie di rating che hanno declassato l’Italia senza far crollare i mercati (ignorando, evidentemente, che le agenzie di rating sono sempre in ritardo rispetto alla realtà, mentre i mercati il downgrade dell’Italia l’hanno scontato ormai da mesi); oppure si possono ricordare le recenti accuse al mercato e al “capitalismo” fatte da Presa Diretta domenica scorsa, sulla miseria cui sono costretti i produttori agricoli, ignorando (o fingendo di ignorare) che quello dei prodotti agricoli è tutto fuorché un libero mercato, nel quale la politica è fonte di gravi distorsioni.

E questi sono solo gli esempi dell’ultima settimana.

Insomma, la politica accusa la speculazione, le grandi banche, le agenzie di rating, il capitalismo, l’euro, i propri avversari politici, addirittura il pessimismo, ma sono specchietti per allodole, giornalisti e indignados: nessuno di quei soggetti è colpa della nostra crisi.

Non devono essere le banche o altri fantasmi gli oggetti dell’indignazione, bensì i palazzi del potere politico, poiché è lì, fra corruzioni, scambi clientelari e disonestà intellettuali che si consuma la tragedia del Paese. Credere a quei fantasmi, come fanno gli indignados, non farà altro che rafforzare il malcostume e il malgoverno.

Photo credits | Fotogracción [CC-BY-SA-3.0], via Wikimedia Commons

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