Non so con esattezza cos’è accaduto dal gennaio 2010 in poi, cosa ha causato la caduta a picco della diffusione, ma c’è di nuovo che non me ne importa nulla.
I fatti sono questi: l’Unità è un giornale tenuto in vita artificialmente dai finanziamenti pubblici (quasi 6,4 milioni nel 2009) e da un imprenditore che è pure del PD, Renato Soru, che stacca gli assegni per tenere in piedi il giornale fondato da Gramsci nel 1924, ma che si rivolta nella tomba da circa trent’anni.
In un anno la diffusione del giornale tracolla. Tremonti, nella sua disperata ricerca di qualcosa da tagliare senza toccare le rendite di posizione degli amici degli amici, continua a minacciare di tagliare il fondo per l’editoria, alla cieca per non scontentare nessuno, e il taglio arriverà, perché l’età delle vacche magre è ancora lontana dal terminare. Soru, nel frattempo, si rende conto di non potere staccare assegni a vuoto all’infinito per un giornale che ha lettori in caduta libera e decide di salutare la de Gregorio: «grazie per quello che hai fatto, ma hai fallito». A Soru, all’editore, serve un giornale che venda quanto meno per evitargli di rompersi la mano per scrivere quegli assegni.
Questa è la storia: nessun gomblotto bersanian-dalemiano, se l’Unità naviga in cattive acque, va cambiata la rotta, e se il capitano non ci riesce, si cambia il capitano. O la nave affonda.
Insomma, nessuno vuole toccare l’Unità. Anzi, il problema è proprio quello: che nessuno lo tocca, neanche i lettori!