Ha colto di sorpresa non pochi analisti l’annuncio all’inizio del mese corrente da parte del governatore della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet, sulla possibilità di un rialzo dei tassi d’interesse di un quarto di punto entro aprile o comunque entro l’estate. La maggior parte degli osservatori finanziari, infatti, attendevano sì un rialzo anche corposo dei tassi (bloccati al minimo storico dell’1% dal 2009), ma non prima della seconda metà del 2011.
La decisione, ha spiegato il membro del board della BCE Lorenzo Bini-Smaghi, è strettamente correlata alle aspettative di inflazione nel prossimo futuro, riviste al rialzo a causa della corsa dei componenti più volatili dell’indice dei prezzi, principalmente petrolio e combustibili (+36% in un anno), materie prime (+32%) e prodotti alimentari (+45%, dati Federalimentare).
La stretta sui tassi serve evidentemente ad adempiere al compito primario della BCE, ovvero il controllo dell’inflazione, ma una decisione in tal senso rischia di avere conseguenze piuttosto gravi su una ripresa economica già in rallentamento per via del caos in corso in Medio Oriente e adesso anche lo tsunami che ha investito il Giappone, e potrebbe addirittura risultare inefficace, visto che l’inflazione è pressoché importata, ovvero indipendente da fattori direttamente controllabili dai governi dei Paesi dell’Eurozona. Con elevata probabilità, però, un aumento dei tassi comporterà un raffreddamento della crescita economica. Inflazione elevata e bassa crescita economica significano stagflazione, una condizione da incubo che il mondo ha sperimentato negli anni Settanta e dalla quale uscire fu molto difficile e comportò, tra le altre cose, l’introduzione di misure di austerity.
La sorpresa, proprio per via di questo scenario, è stata grande: gli analisti non si aspettavano una mossa del genere così presto anche perché la massa monetaria stava dando segnali molto positivi in relazione ai rischi d’inflazione, in particolare quella core, meno volatile e maggiormente significativa, almeno fino ad oggi. La spiegazione che è stata data a posteriori all’annuncio di Trichet risiede nella condizione della Germania: la locomotiva europea, infatti, sta mostrando segni di surriscaldamento (ovvero di crescita troppo forte), e si teme che questo possa comportare effetti di secondo livello sul costo del lavoro, ovvero salari fuori controllo.
Altri segnali, inoltre, lasciano pensare che la BCE possa peccare di eccesso di zelo: la Federal Reserve, infatti, ritiene non significative le fiammate inflazionistiche proprio perché relative a componenti volatili, e dunque non prevede rialzi dei tassi d’interesse americani, anch’essi fissati al minimo storico fra lo 0% e lo 0,25%. Anzi, nella serata di venerdì, i mercati finanziari hanno sperimentato una inusuale euforia dovuta al persistere di rumors circa la possibilità di un terzo intervento di quantitative easing entro il 2012.
Ma cosa dire circa i Paesi che crescono poco o nulla in uno scenario di tassi d’interessi aumentati? L’Italia, ad esempio, potrebbe già stare sperimentando una piccola stagflazione. Stando all’ISTAT, la crescita del PIL nel 2010 è stata dell’1,3%, mezzo punto in meno della media europea e oltre due punti meno della Germania; tuttavia, sempre secondo l’istituto di statistica nazionale, l’inflazione è ai massimi livelli da tre anni a questa parte, al 2,4%, al di sopra del limite ritenuto massimo dalla BCE, dato ancora non significativo, visto che è relativo a febbraio, quando la fiammata del petrolio era ancora agli inizi.
Le conseguenze, senza interventi importanti, rischiano di essere drammatiche: una crescita della ricchezza nazionale inferiore al costo del debito, destinato a salire sia in termini assoluti che relativi, potrebbero attivare una spirale depressiva dalla quale non sarà facile uscire.
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