Qualcuno lo ha definito “programma di satira”: chi lo ha fatto non ha la più pallida idea di cosa sia la satira. L’Almanacco, infatti, è un programma simpatico, a tratti divertente, ma non fa satira. Ci sono battute sui politici, ma si tratta di battute molto molto inginocchiate, quasi servili; si prende in giro la società, i suoi costumi, ma non li si castiga. Il tutto viene condito da sketch che sono più da varietà che da satira.
È valso il cambio (non in termini di audience, che neppure conosco)? In altre parole, la trasmissione di Gnocchi è più o meno povera rispetto a quella di Bertolino?
La risposta è che è più povera: lo scopo dell’Almanacco è far sorridere, scopo comunque encomiabile. Lo scopo di Glob, invece, era non solo sorridere, ma pure far riflettere. Il programma di Bertolino non faceva certo satira, anche in quel caso si trattava di di comicità in ginocchio, ma c’era un di più che, nonostante l’ora tarda, non me lo faceva mai perdere: quel di più erano le riflessioni sulla comunicazione nei media, fatta in modo leggero e comprensibile, e pertanto pericolosa. Bertolino spiegava la comunicazione alle masse, sicché le masse potessero riconoscere quando qualcuno voleva utilizzare i media per fregare la gente. E ciò, nell’ottica normalizzatrice che da tempo permea la linea editoriale della RAI, era inaccettabile.
La differenza si nota in particolare negli ospiti: mentre Bertolino invitava personalità provenienti da mondi diversi, con tante cose intelligenti da dire, Gnocchi invita gente inutile, ad esempio esperti maya (non esperti *di* Maya, ma proprio esperti maya, attori truccati e piumati per dire qualche scemenza), ma, soprattutto, la bellona di turno. Ogni settimana una ragazza dello spettacolo, preferibilmente tettona, viene invitata da Gnocchi per la rubrica “La presenza femminile ingiustificata della settimana”: per carità, un bel vedere, ma cinque minuti di dibattito sul perché la presenza della tettona in questione sia inutile mi sembra surreale.
Non dico “aridatece Bertolino”, ma almeno evitate di chiamare “satira” una simile puttanata.
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