C’erano 25 abbonati al feed di questo blog quando cominciarono le pillole di storia italiana. Al momento siamo 215. A tutti, e in particolare ai 190 che si sono aggiunti nel frattempo, forse devo spiegare che è ‘sta roba e perché spunta fuori all’improvviso dopo due anni di pausa. La spiegazione la trovate in fondo all’articolo. In ogni caso, grazie per avermi letto. 😀
Background politico. Tanto per cambiare la politica stava a guardare: il governo Rumor I di cui parlavamo la volta scorsa cadde per via della scissione dei socialisti, per essere sostituito da un governo di transizione guidato da Rumor (II) che avrebbe poi portato alla formazione del governo Rumor III (che è un altro governo di transizione, che segna la sconfitta della sinistra democristiana). Perché Rumor deve succedere a sé stesso? Perché il suo alleato più importante, il PSI ancora deve farsi un’idea chiara della situazione, molto delicata sia all’interno che all’esterno del partito, per cui preferisce uscire dal governo e appoggiare dall’esterno il governo Rumor (che, curiosamente (( Questo “curiosamente” è per palati Fini. )) , otterrà 346 voti sulla questione di fiducia alla Camera). In questa situazione di attesa scoppiano le bombe e la gente, priva di guida, entra nella psicosi: vedi un pacco abbandonato e temi che possa esplodere in quel momento.
E così arriviamo al settembre del 1969. I metalmeccanici ci hanno preso la mano e quindi anticipano la stagione delle proteste per i rinnovi contrattuali (che, come possiamo vedere in questi giorni, solitamente comincia in ottobre). Inizia l’autunno caldo, che terminerà pochi giorni prima dell’inverno astronomico. In modo tragico. Nel frattempo, però, gli operai la fanno da padrone, grazie anche al vuoto pneumatico della politica, spingendo le proteste, talvolta, anche troppo oltre il limite. Il PCI tenta di approfittare del movimento, cercando di tradurre le richieste in proposte legislative, ma non riesce (non può) guidarlo, poiché ormai ha vita propria; l’area di governo (DC, PSI e i partitini), invece, aspettava Godot (( Tradotto: aspettava non si sa bene chi o che cosa, ma comunque aspettava senza fare nulla. )). I giovani DC (tipo De Mita, che all’epoca era un “giovanotto” di 40 anni) cominciavano a prepararsi per sostituire la seconda generazione democristiana, ma non erano nelle condizioni di fare alcunché (e a mio modesto avviso non sarebbe cambiato granché). Era prevedibile, quindi, che la situazione, prima o poi, cominciasse a degenerare (giochino: formulate l’ultimo periodo al presente rispettando la consecutio temporum (( È uno spreco fare parallelismi con il presente: solo per dire, di attentati contro Belpietro ve ne furono a iosa dal 1968 in poi, e l’immobilismo dei governi Rumor dovrebbe ricordare qualcosa della situazione presente. Ma qui parliamo di storia passata, quindi il giochino basti solo per avviare la riflessione. )) ), ma comunque vi saranno conquiste importanti per i lavoratori (tutti, non solo gli iscritti al sindacato), a cominciare da nuovi strumenti di partecipazione delle maestranze, dall’assemblea dei lavoratori e dai consigli di fabbrica. Nel 1970 sarebbe arrivato lo Statuto dei Lavoratori.
Parlando di giornalisti. Prima di continuare, vale la pena di ricordare come decise di reagire il mondo della comunicazione. La risposta vi ricorderà qualcosa: i giornali e la televisione, da un lato, spesso e volentieri ignoravano le proteste; dall’altro contribuivano all’esasperazione generale esaltando soltanto il lato violento della protesta, ignorando quello delle proposte. Carlo Casalegno, all’epoca vicedirettore de La Stampa, li chiamò “teppisti” e chiese (giustamente) di applicare senza pietà la Legge per fermare i violenti, ma senza mai passare a leggi speciali illiberali (parole sante). Ma lui, come tanti altri, fece di tutt’erba un fascio, mescolando buone e cattive cose con una retorica a tratti davvero poco neutrale (ad essere buoni), e questo, è ben noto, favorisce l’estremismo, poiché costringe la gente a dividere il mondo fra buoni e cattivi e dunque a schierarsi, invece che tentare di comprendere il prossimo. I giornalisti, in questo modo, cominciarono ad essere visti (o essere e basta) come strumenti del potere o come strumenti dei violenti, a seconda dell’appartenenza ideologica. Dopo assalti alle redazioni (RAI), gambizzazioni (Montanelli) e violenze, i giornalisti cominceranno anche a cadere. Il primo sarà, per l’appunto, Casalegno, per mano delle Brigate Rosse (ma ci vorrà ancora un po’ di tempo). La miopia di quegli anni, anche da parte dei giornalisti, li portò a non avere una chiara visione del problema e quindi a non potere, in alcun modo, far vedere anche ai propri lettori cosa stava succedendo. La miopia può essere resa evidente da alcuni fatti: il figlio di Casalegno era un membro di Lotta Continua; Walter Tobagi fu ucciso da figli di editori e di colleghi giornalisti. Quando queste cose vennero fuori non furono pochi i giornalisti che dovettero ritrattare le fregnacce che avevano detto pochi anni prima. Un esempio? Giorgio Bocca, che inizialmente riteneva che le Brigate Rosse fossero una favola dei servizi segreti, dovette fare marcia indietro (dopo l’assassinio di Tobagi fu minacciato egli stesso – e anzi, pare che inizialmente dovesse essere lui a morire (( E, detto tra noi, credo anche che conoscesse almeno i genitori degli assassini di Tobagi. )) ).
Torniamo al 1969. Il clima è esplosivo, ed esplode. Il Paese assiste frequentemente a manifestazioni che diventano guerra nelle strade. La politica non reagisce: riconosce l’emergenza, ma non riesce a muoversi. Addirittura, in tutto questo, i partiti, da destra a sinistra, non trovano di meglio da fare che spaccarsi in modo più o meno evidente: la DC trova il tempo di riformare le proprie correnti interne, insomma si fanno i fatti propri invece di rafforzare il governo Rumor o formarne uno nuovo (serviranno ancora dei mesi prima di ricominciare a capirci qualcosa); intanto il PCI si occupa di espellere i fondatori del neonato Manifesto (Pintor, Rossanda, Natoli) perché nel PCI non è ammesso il dissenso (siamo a novembre). Mancavano due cose ai partiti: un rapporto vero con il Paese reale e un altro con la Ragione. Accanto a provvedimenti epocali (lo Statuto dei lavoratori, arrivato l’anno successivo) vi erano ca*ate pazzesche. Oggi si parla di riforma dell’università, fatta ovviamente ad cacchium: ebbene, questo accadeva anche nel 1969. In particolare la legge 910/1969 fu spettacolare: essa dice, all’articolo 1, che, in attesa della riforma universitaria, chiunque abbia un diploma di istruzione secondaria può iscriversi all’università. Che c’è di male, direte voi, anzi tutto bene. C’è di male quell'”in attesa della riforma universitaria”: si ammassano gli studenti all’interno di istituti che non sono in grado di accoglierli. È facile immaginare che il tasso di abbandono sarà altissimo e tale resterà anche negli anni successivi. La riforma universitaria arriverà nel 1971, ma il danno è fatto.
I più attenti, a questo punto, seguendo il link alla legge 910/69, avranno capito perché mi sono soffermato su questo provvedimento, apparentemente non significativo. Quella legge fu promulgata l’11 dicembre del 1969, e rappresenta, in qualche modo, l’ultimo sprazzo di normalità nel bel mezzo del caos. Il giorno dopo sarebbe iniziato il periodo (sinora) più buio della storia italiana: il 12 dicembre 1969 una bomba esploderà a Milano, in piazza Fontana e niente sarà più come prima.
La bomba esploderà la settimana prossima.
Quasi due anni fa, causa priorità non procrastinabili nella vita reale, ho dovuto interrompere la rubrica delle pillole di storia italiana (qui trovate le dieci puntate precedenti). Più volte mi sono ripromesso di riprenderla in mano, anche e soprattutto perché alcuni lettori di questo blog mi hanno espresso il loro desiderio di volerla leggere. Certo non mi aspettavo di suscitare questa sensazione, di cui sono lusingato: avviai questa rubrica per colmare un vuoto, prima di tutto dentro di me, riguardo la storia italiana, troppo spesso bistrattata dai programmi scolastici e interrotta senza arrivare alle porte del presente (che nella mia visione della storia repubblicana sono rappresentate dalle elezioni politiche dei 2001). Sono fortemente convinto del fatto che chi ignora il proprio passato non può comprendere il presente in cui vive e pertanto non è in grado di compiere le scelte che gli vengono richieste di fare. Forse anche per questo l’Italia si trova in una situazione che non posso che definire critica. Certo non posso cambiare il Paese a colpi di cronologia: lo scopo è, gandhianamente, cambiare prima me stesso; questa rubrica è nata per colmare una mia propria lacuna, ma che, tuttavia, ho saputo essere comune anche ad altre persone cui ho parlato prima di dare il calcio d’inizio alle pillole il 25 ottobre del 2008 (omiodio sono proprio vecchio). Probabilmente vi saranno persone che salteranno la rubrica a piè pari, giustamente. Ma spero ve ne saranno altre che leggeranno con interesse e criticheranno ciò che scrivo. Se queste paginette potranno essere d’aiuto anche ad altre persone per aiutare se stesse a essere il cambiamento che desiderano per il mondo, la cosa non può che rendermi felice.