La morte di Shoya Tomizawa è uno di quegli eventi purtroppo inevitabili: fai uno sport pericoloso, sei ben consapevole dei rischi, succede che tu faccia un errore a grande velocità e finisca fra le ruote dei due piloti che ti vengono dietro. Nonostante le grandi misure di sicurezza sviluppate negli anni, c’è ben poco da fare quando due proiettili di quella stazza ti vengono addosso.
Che le condizioni di Tomizawa fossero disperate lo si era capito già dalle immagini, in cui il pilota della Suter giaceva praticamente già cadavere. E se lo avevo capito io, figuriamoci i commissari di gara.
Ma lo spettacolo è continuato: non solo la Moto 2, categoria di Tomizawa, ha continuato la gara, invece di sospenderla per permettere adeguate cure (non frettolose al fine di permettere la ripresa dei giochi), ma la successiva gara MotoGP è partita regolarmente, e al termine Pedrosa (primo) e Lorenzo (secondo) hanno avuto anche il coraggio di festeggiare (è vero che potevano non sapere del decesso, ma sicuramente avevano visto l’incidente, e pure loro, meglio di me, avrebbero dovuto comprenderne la gravità).
Il problema, in tutto questo, non è la tragicità dell’evento (la cui probabilità di verificarsi non mai eliminabile), quanto la disumanità che talvolta lo segue, ignorando alcuni “effetti collaterali”.
Nel video sopra è riportata un’intervista a Santiago Herrero, astro nascente del motociclismo negli anni Sessanta. Lo spagnolo poche ore dopo la registrazione del pezzo subirà in un incidente di gara (se non erro a gara praticamente finita), sarà anch’egli investito dal suo inseguitore e morirà due giorni dopo. Nel finale del video non si vede l’incidente, bensì qualcosa di ben più tragico, avvenuto pochi metri più lontano.
Oggi la decisione dei commissari di gara ha totalmente ignorato una tragedia simile e per nulla secondaria. Lo spettacolo deve continuare, dicono, ma questo è vero anche se si tratta di uno spettacolo oltre i limiti del grottesco?