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Pietre miliari del giornalismo italiano /37

Ovvero come non si scrive un articolo. Stavolta tocca a la Repubblica (edizione di Bologna).

Oggi mi sono ritrovato fra i feed un articolo il cui titolo diceva: «La disperazione della moglie “Avremmo risolto tutto”.»

Dopo aver detto “Eh?”, mi dico: vabbé, tanto c’è la sommario che spiega qualcosa di più. Invece no: «Parlano gli amici di Mario Farisano. “Organizzava anche il karaoke. La musica era la sua passione”». Articolo di Alessandro Cori.

Mi pare d’intuire che un certo Mario Farisano ha fatto qualcosa di brutto: una rapina in banca, una litigata finita male o un suicidio mi sembrano le ipotesi più azzeccate. Ma comincio a innervosirmi, perché questo è un articolo di giornale, non certo “Chi vuol essere milionario?”. Sto cercando una notizia, non sto giocando per i 16 mila euro.

Allora apro l’articolo: premetto che di solito non l’avrei fatto, sarei passato oltre bestemmiando, ma stavolta no, mi sono sentito in dovere di leggere quella che si prospettava essere immondizia, come in effetti era, perché volevo scrivere questo post.Perché qualche futuro giornalista non commetta gli stessi errori.

E quindi inizio a leggere. Il pezzo comincia riportando le parole di qualcuno (viene poi rivelato che si tratta di una certa Ida e solo poi si capisce che si tratta della moglie del “protagonista” dell’articolo). Già questo di per sé è un crimine contro il giornalismo (han chiamato quelli del Pulitzer, vorrebbero assegnarlo a questo signor Cori, giusto per poi ritirarglielo con ignominia).

Dopo il primo paragrafo ho capito che un certo Gerardo ha trovato il corpo del marito di una certa Ida, la quale afferma che tutto questo è successo per colpa del lavoro. Il problema è che dopo un intero paragrafo il “tutto questo” non è ancora precisato, anche se la probabilità che si tratti di suicidio si è fatta più elevata. Ma vorrei comunque chiedere l’aiuto da casa.

Il giornalista non dice neppure nel secondo paragrafo cosa è successo: parla di “gesto estremo”, giusto perché noi possiamo dedurre che si tratta di suicidio, con buona confidenza, ma non con certezza.

E comunque la rivelazione è passeggera: il caro Cori, infatti, come se niente fosse, dopo le parole “gesto estremo” comincia a parlare del karaoke. Il resto leggetelo voi, io continuo facendo notare dove ha sbagliato.

Vedete, alla scuola di giornalismo non lo insegnano neanche più, perché lo fanno già alle scuole elementari: un articolo va scritto secondo le cinque W. Non solo, ma tu, giornalista serio, nel primo paragrafo dell’articolo devi riportare un sommario dell’intera storia completo di tutte e 5 le informazioni W, ovvero devi dire chi ha fatto cosa dove come quando e perché.

Poi, nella seconda parte del tuo bell’articolo, continui approfondendo le 5 W, riportando dettagli, in questo caso sul ritrovamento, sulle modalità del suicidio, le ipotesi dei carabinieri, e solo poi, nella terza parte del tuo bellissimo articolo, riporti le parole della vedova, degli amici, parli del passato del suicida, dove lavorava, che faceva, che dicevano di lui gli amici. Qui va la parte sul karaoke. Non nel titolo. Assolutamente: è un’informazione radicalmente inutile, che non merita di stare nel sommario.

Ma vediamo, dove sono le nostre 5 W, in questo articolo?:

Ci sarebbe pure l’How, il come (si è suicidato), ma ok, la cosa è trascurabile. Non è trascurabile, invece, il fatto che l’articolo non ha né capo né coda, che è scritto contro tutte le regole dell’arte.

Non c’è niente di male a essere originali, per carità. Ma qui sfociamo nell’inettitudine: non vuoi dire le 5 W nel primo paragrafo perché vuoi aprire con una frase a effetto? Va benissimo, fallo, ma poi le 5 W devi scriverle tutte, per bene, anche in modo creativo, nel secondo. Non in giro per tutto l’articolo che per trovarle serve Indiana Jones. E soprattutto, metticele tutte, queste accidenti di 5 W: manca il quando e anche una parte del dove!

Dunque, il titolo poteva essere: “Operaio suicida nel bolognese, la moglie: «Per colpa del lavoro»” (quattro su cinque W, essendo una cronaca il quando può essere sottinteso nel titolo). Il sommario “Mario Farisano, operaio in cassa integrazione, si è tolto la vita ieri perché non sopportava di non avere un lavoro. Il dolore degli amici: «Sembrava stesse bene»”. Non solo ci sono le 5 W, ma pure un bel po’ del resto.

Caro Cori e caro ignoto titolista, forse è il caso che rifacciate la scuola di giornalismo. Anzi, forse nemmeno quella, visto che io non l’ho fatta e comunque ho scritto le stesse cose secondo le regole della professione. Magari la scuola elementare?

(Davvero, è così facile prendere il tesserino da giornalista?)

(Ah, cara Repubblica, sotto articoli del genere dovresti scrivere che la riproduzione non solo è riservata, ma che dovrebbe essere pure vietata. A voi di Repubblica, prima di tutto).

(Davvero, è così facile prendere quel tesserino? Davvero?)

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