Ospito qui un articolo di SM su un argomento d’attualità da decenni ma che viene sempre sacrificato, come tanti altri, forse perché ormai “non va più di moda”. L’argomento, come avrete intuito, sono le tragedie della fame, oggi aggravate sia dalla crisi economica che dai disastri ambientali dovuti a un clima impazzito, ma che, nonostante ne sia la causa, l’Occidente non affronta con la giusta attenzione.
Tante sono le notizie che circolano nei tg e nei giornali, nei blog e nei siti internet. Ma di certi “argomenti” non ci si occupa molto. Eppure meriterebbero. Per esempio, pochi giorni fa è uscito il rapporto FAO 2009.
Degli extracomunitari ci si occupa solo quando arrivano col barcone, magari per prenderli a calci e rispedirli “a casa loro”. Ma forse si dimentica troppo facilmente che razza di “casa” c’è da loro, quando c’è, e soprattutto con la dispensa desolatamente vuota.
Il rapporto Sofi 2009 ci illumina sull’argomento, e se ci fosse una logica e una giustizia sull’ordine delle priorità nelle notizie, se ne parlerebbe per settimane. Invece è una cosa di poco peso, da parlarne per trenta secondi e poi via, subito alle beghe dei reality politici.
Così ci si perde. Si perde nozione di quello che significa vivere nell’anno del Signore 2009, quando oltre un miliardo di esseri umani soffre la fame. Precisamente 1,02 miliardi. E aumentano, schiacciati dalla crisi. Dal 1970, da quando è iniziata una contabilità affidabile della situazione, è il dato peggiore. C’erano stati momenti migliori, ma dalla metà degli anni ’90 le cose non fanno altro che peggiorare. Si pensi che all’epoca si stimava che gli affamati fossero ‘solo’ 825 milioni, malgrado l’aumento della popolazione dal ’69, quando se ne stimarono 878.
Investimenti nell’agricoltura e campagne, in risposta alle carestie come quelle dell’epoca. Nel 1996, al World Food Summit di Roma, ci si impegnò a ‘dimezzare’ il numero degli affamati entro il 2015 (e come? facendoli morire di fame? nda), discorso ripetuto nel 2000. Sembrava ‘troppo poco’. Ma è andata peggio: nel 2002 si arrivò a 857 millioni, oggi siamo aumentati sopra il miliardo. Mai come oggi, nella storia del genere umano. È come se tutti, ma proprio tutti gli abitanti di 2000 anni fa avessero fame, per esempio. In realtà, le grandi carestie che colpiscono l’Africa erano quasi sconosciute prima di una quarantina d’anni fa, quando cominciarono a manifestarsi sopratutto per le guerre civili endemiche delle regioni. Così adesso l’Africa fa notizia per la fame, quando decenni fa non era cos\u00ec, o non certo in maniera diffusa come oggi.
In realtà, la diffusione della fame non è solo cosa africana: 642 milioni di affamati vivono nella zona asiatica-pacifica, 265 in Africa, 53 in America latina e Caraibi; si pensi solo ad Haiti, dove sono costretti a mangiarsi persino il fango. In termini assoluti il dato non fa altro che aumentare, in termini relativi non perché la popolazione umana degli anni ’70 era molto inferiore ad oggi: si potrebbe dire che è andata meglio, che si è scesi dal 30 al 15%, ma non è certo una soddisfazione quando ci sono oltre cento milioni di persone affamate in più rispetto a pochi anni addietro. Vi sono persino 15 milioni di affamati nei cosiddetti ‘Paesi sviluppati’.
E come mai questa crisi? Il rapporto non parla tanto di raccolti insufficienti, ma dei prezzi esplosi sopra le possibilità di sostentamento delle famiglie, specie con la crisi economica. Si ricordi che l’anno scorso il grano aveva conosciuto un’impennata dei prezzi, e come sappiamo anche noi in Italia, un conto è aumentare i prezzi, un conto è calarli. È come un nodo scorsoio, funziona solo da una parte. Il clima che impazzisce È un altro problema. Sapete che in India l’ultimo monsone ha portato poca pioggia? Che l’aumento delle temperature rischia di far sciogliere i ghiacciai dell’Himalaya, fondamentali per i maggiori fiumi asiatici? Che il Messico soffre la siccità? Immaginatevi tutte queste cose assieme. Nel mentre nella ricca Europa, malgrado le sovvenzioni all’agricoltura e il conseguente ‘dumping’, l’agricoltura langue a sua volta e molti non hanno alcuna convenienza nel fare i raccolti, sottopagati dai grossisti al punto da diventare controproducenti.
Nel mentre da noi vengono lasciati avvizzire i raccolti o versati davanti a Bruxelles in segno di protesta, in molti Paesi del mondo i prezzi dei beni essenziali, come cereali e legumi, sono calati solo di poco rispetto al picco di alcuni mesi fa. Di fatto le famiglie povere, da noi come in Africa, sono ora provviste di minore potere d’acquisto anche rispetto a uno o due anni addietro. E quando già spendi il tuo dollaro di stipendio quotidiano per il 90% in cibo, ci vuole poco per fare la fame. Undici Paesi subsahariani importano cibo dall’estero oltre il 50% dei cereali, e l’indipendenza alimentare è messa a rischio dall’impiego delle poche risorse autoctone nelle coltivazioni di monoculture come il caffè o il cotone, soggetti spesso a variazioni -anche al ribasso- dei prezzi internazionali, e in ogni caso vulnerabili a fenomeni climatici o parassitari. Oltre a non essere utilizzabili direttamente come cibo per la popolazione, alla quale nulla viene da queste attività macroeconomiche, se non la privazione di preziosi terreni che prima erano usati per gli orti e i campi destinati al consumo locale. Poco, ma pur sempre meglio che dipendere dal PAM.
Poi ci sono le guerre locali, dal Sudan alla Liberia; le dittature feroci modello Eritrea – con la quale il governo italiano non ha nessuna inibizione a fare affari – e così via, un Terzo mondo al collasso, che paga la crisi più di chiunque altro. L’accesso al credito, anche microcredito, sarebbe molto importante per i piccoli coltivatori diretti, ma non è facile assicurarlo in molte situazioni pratiche.
Nel mentre, continuano ad accadere crisi umanitarie senza risposte adeguate. Anni fa toccò al Niger, con una carestia devastante in corso non si trovarono 11 milioni di dollari di aiuti, e quando saltarono fuori questo accadde con la dovuta ‘rilassatezza’ nei tempi. Il Kenya meridionale ha avuto un’altra carestia dovuta alla siccità, e ovviamente anche qui la cosa non è stata risolta: c’era la necessità di 96 milioni di aiuti, ma almeno inizialmente ne sono arrivati solo 32. Una frazione del costo della guerra in Iraq (costo giornaliero, intendo) per salvare migliaia di vite.
Recentemente le Filippine hanno subito due uragani violentissimi. Malgrado che i cambiamenti climatici siano visti come responsabili di questo sfascio, e che le Filippine hanno contribuito ben poco ad essi, l’Occidente ricco e inquinatore se ne è infischiato. Oltre 700 morti, 350 milioni di dollari di danni, Manila allagata, 200.000 sfollati. L’ONU ha lanciato una misera campagna per raccogliere 74 milioni di dollari, ma dopo oltre un mese, solo 19 sono arrivati dai donatori internazionali.
Questo è il valore a cui ci si è oramai abituati, no? Per salvare milioni di bambini dalla fame e da malattie curabili i soldi non ci sono. Magari basterebbe qualche sacchetto di arachidi, fondamentali per resistere ai periodi di carestia. Ma la vita di un bambino non li vale, se nasce dalla parte sbagliata dei confini della Bossi-Fini.
A fronte di un appello ONU per la raccolta di 74 milioni di dollari, finora ne sono arrivati solo 19. La presidente Arroyo ha cominciato ad accusare l’Occidente: la crisi climatica la paghiamo noi che non l’abbiamo fatta. E lo dice a ragione, purtroppo. Ma da noi vale il discorso opposto: se si sciolgono i ghiacci del Polo Nord si apre la corsa allo sfruttamento delle risorse e delle rotte, e chi se ne frega se gli orsi polari crepano e gli indiani anche. E se pure noi avremo problemi con estati tropicali e inverni aridi. Ma se poi una miliardata di profughi climatici verrà a bussare alle nostre porte, non ditegli di ‘tornare a casa loro’. Oltre il danno non ci aggiungiamo anche la beffa.
E non si dica che i soldi non ci sono: appena qualche settimana fa, il governo USA ha ritenuto di passare 7,5 miliardi di dollari in aiuti al solo Pakistan, in quanto nazione ‘amica’, aiuti da versare in cinque anni. Ma le accuse di non fare abbastanza contro i terroristi islamici hanno fatto dimenticare il generoso finanziamento. Gli USA preferiscono spendere in Paesi che già li disprezzano, lasciando che altri – come le Filippine -, senza aiuti sufficienti, inizino ad odiarli a loro volta. Nel mentre i bambini poveri muoiono dimenticati da teocon e liberali. Come sempre, del resto. Ma prepariamoci al peggio, perché se l’Africa oggi ha un miliardo di abitanti, entro qualche decennio è previsto che arrivi al doppio. E in tal caso, come rimedio alla mancanza di interesse e di preveggenza, non ci saranno Bossi-Fini che tengano.
Fonti: principalmente, notizie del Tg3 a parte, la sezione internazionale del Manifesto del 15 ottobre