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Dolore e odio. Dolore senza odio.

Vauro

Probabilmente questo post farà storcere il naso a qualcuno. Ma in tutta sincerità chi storce il naso non può capirlo, quindi credo non m’interessi granché. In ogni caso, premessa: mi unisco al dolore delle famiglie dei soldati italiani morti oggi a Kabul.

La cosa che mi fa incazzare, però, è che ci si ferma qui. Anzi, si blocca tutto e tutti a scrivere una riga come quella di cui sopra, a rimandare appuntamenti, manifestazioni e, immancabili, i gruppi su Facebook.

Allora voglio dire due cose: la prima è che è meglio che ci abituiamo. Dopo le elezioni l’Afghanistan è diventato più stabile, e per questo i talebani tireranno fuori l’artiglieria pesante sempre più spesso.

La seconda, più importante, è ricordare che non sono morti solo soldati italiani, ma pure civili afgani. E sono morti svariati civili afgani nei giorni scorsi per un errore delle forze occidentali; e lo stesso è accaduto negli anni precedenti. E non solo in Afghanistan.

Se abbandoniamo la guerra in Afghanistan, troviamo altre guerre più o meno famose che in questo momento stanno mietendo vittime.

Se abbandoniamo le guerre in generale, troviamo altre tragedie: seicento persone che muoiono in mezzo al Mediterraneo, ad esempio, perché abbiamo dei nazisti al governo (badate, in questa situazione siamo noi i talebani, non usiamo bombe, ma il risultato è lo stesso… anzi, è trenta volte peggio).

Questo perché, almeno per il sottoscritto, una vita umana è uguale in ogni Paese del mondo, quindi il mio metro per misurare le stragi è la quantità, non la qualità.

Viviamo in un mondo pieno di dolore, e il dolore non cambia in base alla nazionalità: non esistono qualità di dolore.

Il dolore genera odio, e chi prova odio diventa vittima dell’odio e finisce per ferire (fisicamente o anche solo a parole) altre persone, che a loro volta proveranno dolore, che genererà altro odio e così via.

È una catena che dura da migliaia di anni e che ha scatenato guerre su guerre. La soluzione a tutto questo non è ancora stata trovata, e infatti il mondo è ancora preda di tante guerre. Qualcosa tuttavia è cambiato: nazioni che si facevano la guerra da millenni stanno conoscendo un periodo di pace che dura da oltre sessant’anni. Parlo dell’Europa. I padri fondatori d’Europa avevano conosciuto probabilmente la più grande manifestazione d’odio, di dolore e irrazionalità della storia umana, e fu tale la sensazione che lo compresero e decisero di porvi fine. Almeno finora.

Comprensione e razionalità possono aiutarci ad uscire da questa spirale d’odio: dobbiamo comprendere che il dolore che proviamo noi per i nostri soldati è lo stesso dolore che provano le famiglie di quei civili afgani morti in quello stesso attentato; che è lo stesso dolore che provano i familiari o i sopravvissuti di coloro che lasciamo (noi talebani italiani) morire in mezzo al mare; che è lo stesso dolore che provano le migliaia, milioni di persone che in questo momento sono vittime di qualcosa.

Comprendere e fare proprio il dolore altrui è il primo passo per impedire che il proprio dolore si trasformi in odio e generi altro dolore (ma, sia chiaro, non basta): lo psichiatra che visitò i criminali nazisti durante il processo di Norimberga ((non ricordo il nome, scusate)) giunse alla conclusione che il male è assenza di empatia, incapacità di comprendere gli altri.

Per questo motivo trovo irrazionale (e in quanto tale odioso) fermare il mondo e piangere (spesso solo per una sorta di macabra moda, per sentirsi parte di un gregge piangente) perché sono morti sei soldati che parlavano la nostra stessa lingua, e non versare mezza lacrima (neanche per finta) verso innocenti che muoiono allo stesso modo (vittime del dolore) solo perché parlano un’altra lingua o hanno un colore della pelle diverso.

Da tempo, ormai, provo lo stesso dolore ogni volta che qualcuno muore in modo tragico, praticamente ogni volta che apro il giornale, e non solo quando muoiono miei connazionali. In questo modo mi sono assuefatto al dolore e ho imparato a controllarlo, a comprenderlo e a non trasformarlo in odio verso qualcuno, qualcosa o verso il mondo intero.

Questo è il primo cambiamento che ho voluto per il mondo.

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