(Avrei voluto scrivere ieri questo pezzo, sulla scia del precedente di 53 giorni fa su Giovanni Falcone, ma ieri un po’ sono stato fuori, un po’ la Telecom ha deciso che non mi toccava collegarmi ad internet e quindi ho perso l’appuntamento).
Diciassette anni e un giorno fa, cinquantadue giorni dopo il collega Giovanni Falcone, Paolo Borsellino viene ucciso da un’autobomba piazzata davanti al portone di casa di via D’Amelio della madre del giudice, che come ogni domenica si recava da lei.
Erano stati giorni febbrili: Borsellino lavorava per chiudere immediatamente il cerchio intorno alla strage di Capaci. La mafia era in fibrillazione: i referenti politici (in particolare la DC) si erano enormemente indeboliti, ed essa stessa stava scontando la guerra contro l’antimafia portata avanti dal Pool di Palermo, che aveva inferto molti colpi a Cosa Nostra.
La mafia rispondeva con le bombe. Ma se le stragi di Capaci e via D’Amelio servirono a colpire il pool antimafia e i suoi esponenti maggiori, a che servirono le stragi sul continente? A nient’altro che a lanciare un messaggio, come ha fatto Totò Riina ieri, che ci ha detto: «Io so chi siete, voi eravate con me a quell’epoca, posso ricattarvi ancora». Ricordatevi degli amici.
Nei giorni probabilmente più bui della storia d’Italia, il cerchio sembra stringersi tutto attorno a un movimento politico che emerse proprio in sostituzione della vecchia balena bianca ormai morente: parliamo di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Sappiamo che i capi dei capi di Cosa Nostra scrissero ben tre lettere a Silvio Berlusconi, all’inizio e alla fine del 1992 (quindi prima e dopo le stragi contro Falcone e Borsellino) e una nel 1994, dopo la discesa in campo. Sappiamo che una grande parte dei quattrini di Silvio Berlusconi ha provenienza ignota, passata attraverso una delle basi bancarie di Cosa Nostra, ovvero la Banca Rasini, dove lavorava il padre di Silvio, Luigi, e che ebbe la brillante idea di catalogare le varie società della galassia Fininvest sotto la dicitura “Istituti di bellezza/Parrucchieri”. Sappiamo che Berlusconi si tenne in casa uno stalliere, Vittorio Mangano, riconosciuto come uomo d’onore, ricordato da Berlusconi come “eroe”, segnalato dal suo amico Marcello Dell’Utri. Sappiamo della chiacchierata fra il mafioso Cinà e Dell’Utri, i quali finiscono per discutere di una cassata da undici chili e mezzo recapitata a casa Berlusconi. Sappiamo delle bombe “gentili” fatte saltare davanti casa di Berlusconi. Sappiamo, infine, per tornare a Borsellino, del fatto che il giudice stava indagando proprio su Berlusconi, Dell’Utri e sui cavalli consegnati in un albergo al centro di Milano e sul fatto che Mangano fosse una testa di ponte che mettevano in comunicazione la Sicilia al Nord Italia e quindi con Bettino Craxi attraverso il suo fraterno amico Silvio (il video di quell’intervista mai trasmessa sulle tv nazionali lo trovate in calce all’articolo, i lettori del feed devono passare sul sito per visualizzarlo).
Pochi giorni dopo quell’intervista, Borsellino salta in aria, e con lui finiscono sepolti tanti misteri. Le trattative fra la mafia e lo Stato, che Nicola Mancino nega con forza (e vorrei vedere…), al contrario dei pentiti Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino. L’agenda rossa di Borsellino sparita dal luogo della strage, un luogo piuttosto affollato, nel tentativo, probabilmente riuscito, di occultare ciò che Borsellino aveva intuito e di cui stava cercando le prove.
Intanto le inchieste su quella strage sono state riaperte: appare ormai indubbio che, se non lo Stato, almeno una parte deviata dello Stato stesso trattava con la mafia. Intanto aspettiamo che Ciancimino renda pubblico il papello, la lettera con le richieste di Cosa nostra allo Stato, un mattone importantissimo per comprendere in quali termini lo Stato si fosse abbassato a trattare con la sua peggiore feccia. Aspettiamo di sapere come mai il procuratore antimafia Piero Grasso, nominato tale dopo che una legge approvata dalla maggioranza di Silvio Berlusconi aveva tolto di mezzo il suo diretto avversario Giancarlo Caselli, non abbia preso in considerazione una delle lettere indirizzate proprio a Berlusconi, rinvenute quasi per caso negli ultimi giorni, diversi anni dopo il loro ritrovamento.
Aspettiamo che la Giustizia faccia il suo corso, che si compia il percorso che Borsellino aveva già fatto e che ha causato la sua morte.
Impediamo che Borsellino venga seppellito di nuovo. Esigiamo luce sulla notte dello Stato e pulizia e trasparenza fra gli uomini che devono combattere questa guerra.