Su Topolino di questa settimana, in una delle storie, Paperino usa un’espressione che qualcuno, forse ricorderà: «ostentazione di plutocratica sicumera». Subito dopo Zio Paperone gli fa notare che dice sempre le stesse cose.
Quella frase, infatti, compare (quasi uguale) in una storia del 1969, una storia molto famosa perché faceva la sua apparizione Paperinik, il diabolico vendicatore (che è anche il titolo della storia).
Sono finito su questo sito, dove ho avuto uno scambio di opinioni con il blogger che lo cura. È stata l’occasione di notare, per me che leggo quella rivista da ben diciassette anni, di notare il drastico calo della qualità delle storie che si è avuto negli ultimi anni.
La colpa è da attribuire al fatto che i più grandi sono scomparsi? Non esattamente. Anche se geni come Guido Martina e, più recentemente, Elisa Penna sono scomparsi, ce ne sono ancora altri “storici”, come Rodolfo Cimino, tuttavia anche lui ha perso la sua originale brillantezza. E ci sono anche sceneggiatori meno “storici” di quelli già citati ma comunque bravi, come Carlo Panaro. Non c’entra granché neppure il passaggio dalla Mondadori alla Disney, avvenuto nel 1988. Forse la colpa è dei manga, più precisamente dei fumetti giapponesi? Non credo: il prezzo di un tankoobon è circa 4 euro, con cadenza bimestrale, bianco e nero. Topolino costa 2,20, settimanale a colori, e pubblica storie completamente diverse. I target, inoltre, mi sembrano altrettanto differenti. Dunque a cosa attribuire tutto questo?
Da qualche anno Topolino pubblica cinque-sei-sette storie per numero (probabilmente perché la pubblicità delle pagine vicino alle storie vengono vendute meglio), in luogo delle quattro (solitamente due lunghe all’inizio e alla fine e due brevi al centro) di diversi anni fa, pur non cambiando il numero delle pagine. Questo ha inevitabilmente costretto sceneggiatori e disegnatori a comprimere i propri lavori, abbassandone la qualità.
Qualche esempio di storia pregevole ogni tanto capita, ma non basta, e i lettori, probabilmente, se ne sono accorti: anche se da diversi anni non vengono più pubblicati i numeri venduti, all’inizio degli anni Novanta la tiratura arrivava anche a un milione di copie. Dieci anni dopo (nel 2003) era scesa a trecentomila, nel 2008 di duecentomila.
Credo di non essere l’unico che acquista questa rivista per le storie più che per il resto, che sono solito leggere in un secondo momento, quando posso. Ma se le storie non vanno, è ovvio che ad un certo punto ci si stanchi di un prodotto che non raggiunge certi standard di qualità.
La qualità è tutto, e non sempre si può coniugare un aumento della quantità con il mantenimento dello standard di qualità, specialmente in presenza di risorse scarse come materie prime, denaro o, in questo caso, un numero limitato di pagine. Potrà sembrare una scemenza, un’ovvietà, ma a quanto pare non è chiaro abbastanza.