Succede che, mentre sei ancora nel letto ad aspettare che suoni la sveglia per alzarti ché hai un esame, la radiosveglia alle sei si accende su Radio Uno, c’è il giornale radio.
«Cominciamo inusualmente con una notizia dal mondo della musica: è morto Michael Jackson»
E lì ti svegli completamente.
Era un genio in tutti i sensi: aveva la musica (credo abbia ancora diversi record di vendita), aveva il senso degli affari (comprò i diritti di molte canzoni dei The Beatles, che gli fruttavano milioni di dollari l’anno), faceva spese assurde (pur essendo strapieno di quattrini finiva per accumulare debiti per trenta milioni l’anno), mostrava i neonati dal balcone come fossero gavettoni, si era completamente rifatto la faccia (era diventato bianco a causa di una malattia, però) ed era di sesso ignoto. Forse etero, forse gay, forse pedofilo. Se non è un genio questo, non so cosa possa esserlo.
È un certo shock: a Jackson sono legati alcuni dei primi ricordi della mia vita. Nella Fiat 127 di papà si ascoltava Black or white (e subito dopo c’era All that she wants – degli Ace of Base, pensate un anno dopo veniva affiancata a uno dei successi del momento – per non parlare di Thriller), su una canzone di Jackson (ma di questa non ne ricordo il titolo) ci feci la recita di fine anno all’asilo. Andava un videogioco con Asterix e Obelix, la SNES (cercavo invano di completare Super Mario World) e Craxi stava per prendere monetine in testa.
Altri tempi, che la morte di Jackson cancella in gran parte. Si elabora il lutto in un’ora, ché quasi vent’anni dopo sei all’università.
È in momenti come questi che ti accorgi che la storia (stavolta personale), che solitamente si muove con impercettibili cambiamenti alla volta, ha fatto un grosso balzo in avanti.
(E sì, l’esame è andato bene, balziamo avanti anche noi).