Il fiascal compact e le dune buggy

Come già ribadito più volte su queste pagine, la crisi dell’Unione Europea è ben lontana dall’essere risolta. Tolta di mezzo la grana Grecia (ma solo per un po’, ci torno fra un attimo), i soldi freschi della BCE hanno permesso agli Stati di evitare il collasso dell’Eurozona almeno per il momento: lo scoglio da superare era febbraio/marzo, ed è stato superato, ma ce ne ritroviamo un altro fra aprile e maggio.

In quei mesi, infatti, in primo luogo andrà alle urne la Grecia, e le premesse non permettono di attendere granché di buono: il responso degli elettori incazzati contro il mondo ma non contro i veri responsabili della crisi ellenica (che poi sono gli elettori stessi) porterà, a quanto pare, a una maggioranza che sarà eufemisticamente un accrocchio, che avrebbe come trait d’union l’uscita dall’euro, visto che un po’ tutti i partiti hanno gioco facile a monetizzare la rabbia popolare contro l’Europa delle banche, delle logge massoniche, degli alieni e dei piccioni mafiosi che hanno imposto un’austerità giustissima, ma che, semplicemente, non può funzionare come unica arma contro il collasso. D’altro canto uscire dall’euro, per la Grecia come per qualunque altro Paese, significa ugualmente collasso. Vie alternative che portano alla stessa final destination, cose che succedono quando si usa la democrazia non per migliorare, bensì per peggiorare le condizioni di vita del demos, specie, è il caso della Grecia, quando si spende e si spande per vincere le elezioni l’anno prossimo, e chissenefrega se dieci (o qualcosa di più) anni dopo non si avranno maniche per asciugarsi il moccolo.

La buona [sarcasmo] notizia è che, oltre alla Grecia, la pietra tombale verso le misure che non riesco neppure a definire ridicole, potrebbe arrivare dall’Irlanda: il 31 maggio gli irlandesi saranno chiamati a dire la loro sul fiascal compact [no, nessun refuso], cioè il risultato pratico della teoria teutonica secondo la quale tassare e stratassare (oppure tagliare istantaneamente la spesa pubblica, fa lo stesso, se fatto troppo in fretta) porta alla crescita, cioè la cosiddetta growsterity, che già dal nome che fa pensare a giocattoli erotici per tigri siberiane. Se vince il no, l’Irlanda, molto semplicemente, esce dal fondo salva-Stati, fallisce ed esce dall’euro. E siamo già a due. Per ora.

Ma il fiascal compact continuerà con la sua azione distruttrice, visto che serve l’assenso di 12 su 17 membri della zona Euro perché diventi effettivo. Scatenando recessioni su recessioni, finché, casomai non fossero bastati i casi Grecia e Irlanda, avremo nuovi scombussolamenti della cartina geografica denominata in Euro, con candidati Portogallo, Spagna e infine Italia (e dico “infine” non perché la cosa finirà lì, ma perché da lì in poi per contare i danni, anche per i non PIIGS, bisognerà prima riscrivere il concetto di “calcolatrice”).

Va però sottolineato che l’ottusità del fiascal compact non sta tanto nel fatto che uno Stato non dovrebbe spendere troppo più di ciò che incamera (e cioè fare debiti non per creare posti di lavoro fittizi: detto brutalmente, assumere gente per aprire e chiudere buchi nelle strade è keynesianamente corretto e aiuta l’economia finché è una cosa temporanea, non come fatto in Grecia, ma pure in Italia, dove questi parassiti hanno pure il coraggio di incazzarsi quando vengono cacciati via dopo anni di nulla pneaumatico), quanto nella totale assenza di correttivi che non lo rendano sanguinosamente prociclico. Serve, in altri termini, che vi siano misure espansive, da qualche parte, siano esse un’elasticità del fiscal compact che riconosca il fatto (chiaro anche ai bimbi dell’asilo, ma non ai Wirtschaftsweisen e ai cervelloni dell’OCSE) che in recessione le entrate fiscali diminuiscono e la spesa pubblica aumenta, oppure (o in aggiunta, che sarebbe meglio) una politica monetaria in qualche modo realmente accomodante (e non fittiziamente, e costosissimamente, come il LTRO). D’altronde, basta guardare i casi di “successo”, se così si possono chiamare, in cui è stata impiantata la growsterity: si tratta, solitamente, di Paesi che insieme all’austerity hanno varato anche politiche espansive (comunque non pienamente funzionali: è il caso della Lettonia).

La metafora (più che ovvia) è quella del film “…altrimenti ci arrabbiamo!“. Il Boss (nel nostro caso interpretato dalla Merkel), ascoltando i consigli insensati e i “NEIN, NEIN, NEIN!” del Dottore (i cervelloni vari), finisce con lo spendere un patrimonio pur di non darla vinta a Spencer e Hill, fin quando, dopo averle provate tutte, è costretto a comprare loro “due schifosissime dune buggy rosse con la cappottina gialla” e a rinunciare alla sua profittevolissima speculazione edilizia.

Solo che qui la posta in gioco non è una macchinina, ma il destino di un’area che comprende più di 500 milioni di persone. E poi, non è un film del 1974.

Chiamalo dettaglio.

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2 Comments

  1. Ciao. Per il poco che ne capisco, sull’analisi del fiscal compact sono d’accordo (o meglio: tutti gli analisti ed economisti che leggo e mi sembrano ragionevoli sono d’accordo). 

    Sul cosa andrebbe fatto sono molto confuso. Anche qui, tutti sono d’accordo su cosa andrebbe fatto per risanare l’italia nel long term ma il difficile viene nel trovare soluzioni che non facciano precipitare la situazione attuale.

    Da quello che ho capito c’è chi (ho in mente soprattutto Alesina, Boldirin su linkiesta, Bisin su repubblica negli ultimi giorni) sostiene che sostanziali tagli alle spese sono fattibili e auspicabili, chi come Phastidio dice che sarebbero insostenibili (ammettendo, mi pare, un declino ormai irreversibile). La tua posizione non mi è ancora chiara.

    Ovviamente per il solo gusto di parlarne, dato che la realtà di questo governo Monti e meno deludente solo di ciò che lo sostituirà tra un anno.

    1. Scusa il ritardo della risposta. Detto in breve, la mia posizione è che una due diligence sui conti va fatta: un programma di tagli è necessario, e se ne possono fare sia a breve che nel lungo, su questo sono d’accordo tutti gli analisti. Non concordo sul fatto che siano insostenibili in generale, e mi rendo pure conto del fatto che tagliare enormemente nel giro di poco sarebbe estremamente recessivo e aggraverebbe il tutto. Mail problema,amio avviso, non è né quanto né su che arco temporale tagliare, bensì, fatte tutte le riforme necessarie e rimandate per decenni, assicurare ai cittadini come ai mercati che c’è una politica in grado di mantenere tale programma di tagli e riforme credibile oltre la singola legislatura.

      E a mio avviso, tale classe politica non c’è, anche perché non ci sono troppi cittadini veri.

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