Napolitano respinge il federalismo municipale: tutti a casa?

Per Diritto di Critica

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha respinto il decreto legislativo sul federalismo municipale approvato dal Consiglio dei ministri straordinario tenutosi ieri sera a seguito del parere negativo espresso a riguardo dalla apposita Commissione Bicamerale.

Napolitano avrebbe respinto il decreto legislativo in quanto in contrasto con la legge delega, in particolare perché contrario alla lettera del comma 4 dell’articolo 2 della legge 42/2009. Tale comma prevede espressamente l’iter da seguire nel caso in cui la Commissione Bicamerale avesse espresso parere negativo.

Il Governo, in base alla legge delega, è legittimato a emanare il decreto legislativo anche con parere negativo della “Bicameralina”, ma deve prima presentarsi alle Camere per spiegare le sue ragioni, cosa che il Governo non ha fatto, provocando il no del Capo dello Stato.

Il respingimento rischia di essere una pietra tombale sul federalismo fiscale: il Governo, infatti, ha già poco tempo (fino a maggio) per emanare un altro decreto legislativo (il quinto, concernente il federalismo fiscale regionale e provinciale) che dovrebbe completare l’iter della legge delega. La necessità di dover ridiscutere il quarto decreto legislativo, oltre alla necessità di negoziare in Commissione, dove la maggioranza è in minoranza, rischia di allungare i tempi fin oltre la soglia di sopportazione della Lega Nord, che potrebbe decidere di staccare la spina e ricominciare da capo, dalla elezioni.

Photo credits: Presidenza della Repubblica italiana

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8 Comments

  1. Che la Lega molli Berlusconi per impazienza è una bella favola a cui vorrei poter credere. Sulla credulità del proprio elettorato conta anche la Lega, la quale da anni non fa che lanciare proclami riguardo alla priorità dei propri obiettivi e ricattare gli alleati di turno. Il tutto, però, senza mai esplicitare chiaramente questi obiettivi: c’è solo un continuo sbavare a mezza bocca “Federaliiiismoooo” ed un solidissimo attaccamento alle poltrone.

    Che il federalismo che sta venendo realizzato a colpi di decreti legislativi (su leggi delega con criteri vaghi, se non del tutto indeterminati) sia una porcheria indegna è noto solo a pochi addetti ai lavori…mentre gli elettori leghisti, obnubilati dal mantra televisivo, pensano di essere ad un passo dal nirvana federalista. Ad ogni modo, non credo che i vari percorsi legislativi si arresteranno solo per questo passo falso…e la prossimità delle scadenze non ha mai preoccupato più di tanto questo governo, che anzi è abituato ad approvare (ed a far approvare) muscolarmente ed alla chetichella i provvedimenti più importanti…e chissenefrega se saranno solo più tasse per tutti: saranno solo per chi le tasse le paga già, per chi non le ha mai pagate, non cambierà nulla (op. cit.)!

    P.S.: “dalle elezioni”.

    1. >c’è solo un continuo sbavare a mezza bocca “Federaliiiismoooo” ed un solidissimo attaccamento alle poltrone.

      Molto vero, giusto ieri scrivevo un pezzo che rimarcava proprio questo punto, e che cioè, a furia di compromessi al ribasso pur di dire “abbiamo fatto il federalismo”, di federalismo è rimasto ben poco.

      >Che il federalismo che sta venendo realizzato a colpi di decreti legislativi (su leggi delega con criteri vaghi, se non del tutto indeterminati) sia una porcheria indegna è noto solo a pochi addetti ai lavori

      Qui devo dissentire: lo strumento della delega è la prassi quando si tratta di argomenti particolarmente complessi e tecnici, basti pensare che tutti e quattro i codici sono stati prodotti partendo dall’input di una legge delega (il codice Rocco, ad esempio, nasce dalla 2260/25); lo stesso è avvenuto per importanti riforme, anche in campo tributario. È una prassi praticamente obbligatoria, a mio avviso: la complessità degli argomenti, pur rimanendo fondamentale il controllo del Parlamento, specie attraverso le commissioni specializzate, non può sottostare alla scrittura delle aule, poiché impiegherebbero secoli per completare la riforma.

      >la prossimità delle scadenze non ha mai preoccupato più di tanto questo governo, che anzi è abituato ad approvare (ed a far approvare) muscolarmente ed alla chetichella i provvedimenti più importanti

      Anche io, negli ultimi giorni, ho cambiato idea, anche se non credo che faranno ulteriori forzature: piuttosto, pur di potersi sciacquare la bocca, accetteranno tutto pur di arrivare in tempo, rendendo il federalismo in salsa leghista ancor più una porcata senza capo né coda.

      >e chissenefrega se saranno solo più tasse per tutti: saranno solo per chi le tasse le paga già, per chi non le ha mai pagate, non cambierà nulla (op. cit.)!

      È esattamente la tesi che esprimo nell’articolo di cui parlavo sopra. Anzi, aggiungo che il federalismo di Bossi applica il principio “more taxation without representation”, visto che oltre agli aumenti IRPEF (cioè ai fessi che sono obbigati a pagare le tasse), si tasseranno coloro i quali non hanno alcun controllo sugli amministratori, e al diavolo la favoletta della maggiore responsabilità verso i cittadini

  2. …a questo punto tocca a me dissentire ancora una volta riguardo un aspetto giuridico.

    Citare ad esempio i quattro codici è quanto meno inappropriato se si vuole introdurre un parallelismo interpretativo. Se non m’inganno, infatti, all’epoca delle rispettive elaborazioni in Italia (e si possono consultare le date agevolmente qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Codici_(diritto) ) vi era un regime dittatoriale ed il ruolo del parlamento era ampiamente sminuito per effetto della concentrazione del potere nelle mani di Mussolini e dei suoi gerarchi. Quindi, il ragionamento “materia complessa/legge delega/decreto delegato” non regge dal punto di vista storico. Non regge neanche dal punto di vista comparatistico, poiché vi sono stati certamente casi di codici approvati dai parlamenti nazionali (basti pensare al codice civile svizzero: http://www.admin.ch/ch/i/rs/2/210.it.pdf ).

    Passando più specificamente ed in termini attuali all’argomento della “materia tecnica/complessa”, devo dissentire vivamente dalla tua opinione. Se è vero che negli ultimi anni si è fatto massicciamente ricorso alla legislazione delegata, trovo che questo nella maggior parte dei casi abbia rappresentato solo un male:

    1) E’ ordinaria amministrazione riscontrare leggi delega con criteri estremamente vaghi da cui il governo può prendere le mosse per legiferare in qualunque modo ritenga preferibile, senza avere alcun vincolo.

    2) E’ altrettanto comune riscontrare decreti legislativi in cui non si è tenuto in minimo conto anche quelle indicazioni più specifiche delle leggi delega, e ciò ha rarissimamente dato luogo ad una pronuncia abrogativa della Corte costituzionale per eccesso di delega.

    3) La maggior parte (se non la totalità) dei d.d.l. di delega proviene dallo stesso governo, che, ottenuto il nullaosta parlamentare, ha licenza d’intervenire in materie delicatissime e lo fa spesso in maniera disarticolata, asistematica e, addirittura sgrammaticata (e basti pensare alle riforme del diritto societario, a quelle del processo civile o, peggio ancora, quelle del diritto fallimentare, in cui la delega era contenuta in un decreto legge!!!).

    4) Con la legislazione delegata non si toccano solo materie “tecniche” (e qui vorrei ancora capire cosa non sia tecnico…), ma anche aspetti particolarmente importanti delle relazioni economiche e della vita civile (e penso alla riforma del mercato del lavoro o ai futuri decreti legislativi in materia d’università).

    5) Il ricorso alla delega in materia tributaria contribuisce a scalfire il principio “No taxation without representation” proprio perché non è più il parlamento (eletto direttamente dal popolo) a legiferare sul punto, ma il governo (che gode di una legittimazione democratica indiretta, ma su questo non mi diffondo, dato che tu dichiari di avere una solida preparazione in diritto costituzionale).

    6) Ogni anno il governo si appropria della potestà di attuare tutta la legislazione di derivazione comunitaria (e le materie interessate sono tantissime) e la legge delega consiste praticamente solo di un elenco dei testi normativi europei che richiedono di essere implementati nel nostro ordinamento. Se questa non è una delega in bianco…

    7) Le statistiche mostrano chiaramente che negli ultimi anni si sia invertito il rapporto tra leggi “parlamentari” e decreti “governativi” con una netta prevalenza dei secondi ed una drastica riduzione dell’attività parlamentare. Saranno tutte materie “tecniche”? In passato come si faceva a disciplinare anche settori complessi senza ricorrere tanto intensamente alla delega? Sarà che il parlamento, per effetto del bipolarismo “porcellico” è diventato solo un parcheggio di figuranti in attesa di collocazione ministeriale?

    In definitiva, se è anche vero che certi ambiti tematici richiedono interventi tempestivi e tecnicamente ineccepibili, è altrettanto vero che non si può sacrificare la democrazia per la fretta! Il che è ancor più inoppugnabile (e credo che dovrai convenire) se solo si osserva la scadentissima qualità della legislazione delegata, che spesso richiede raffiche di decreti “correttivi” solo per ripulire i testi precipitosamente approvati da refusi e svarioni vari, per non parlare delle vere e proprie correzioni di rotta in corso d’opera.

    Per tutti questi motivi, e per molti altri ancora che per brevità non espongo, sarebbe meglio riflettere prima di appiattirsi sulla vulgata che la legislazione delegata è “praticamente obbligatoria” quando bisogna affrontare riforme complesse ed essere rapidi. Velocità non è uguale a qualità e, meno ancora, a democrazia.

    1. >il ragionamento “materia complessa/legge delega/decreto delegato” non regge dal punto di vista storico

      Tirare in ballo il regime dittatoriale è un errore, perché, al di là dei fascismi, la riforma dei codici fu il frutto di una grande generazione del diritto.

      >E’ ordinaria amministrazione riscontrare leggi delega con criteri estremamente vaghi

      Non lo metto in dubbio, ma che c’entra?

      > E’ altrettanto comune riscontrare decreti legislativi in cui non si è tenuto in minimo conto anche quelle indicazioni più specifiche delle leggi delega

      Idem

      >La maggior parte (se non la totalità) dei d.d.l. di delega proviene dallo stesso governo, che, ottenuto il nullaosta parlamentare, ha licenza d’intervenire in materie delicatissime e lo fa spesso in maniera disarticolata, asistematica e, addirittura sgrammaticata

      Ancora idem: la colpa è di una classe politica povera di diritto, mica dello strumento .

      >Il ricorso alla delega in materia tributaria contribuisce a scalfire il principio “No taxation without representation” proprio perché non è più il parlamento (eletto direttamente dal popolo) a legiferare sul punto

      Il parlamento è libero di delegare, lo prevede la Costituzione, è un’espressione della sua sovranità

      > Se questa non è una delega in bianco…

      Come più sopra

      >negli ultimi anni si sia invertito il rapporto tra leggi “parlamentari” e decreti “governativi” con una netta prevalenza dei secondi ed una drastica riduzione dell’attività parlamentare

      Qua il discorso è più complesso e non lo vado ad affrontare, perché si tratta di affrontare un problema che è storico più che di diritto. Nuovamente, il fatto che si abusi di uno strumento, non può essere una colpa dello strumento stesso. Solita metafora del martello: la colpa non è del martello, ma del tizio che l’ha usato per fracassare la testa al vicino.

      >legislazione delegata è “praticamente obbligatoria” quando bisogna affrontare riforme complesse ed essere rapidi. Velocità non è uguale a qualità e, meno ancora, a democrazia.

      Mi sa che stai facendo una confusione grossa come una casa: non parliamo di decreti legge, parliamo di decreti delegati. La questione della velocità c’entra come il cavolo a merenda: i decreti su federalismo sono in gestazione dal maggio 2009, quando fu approvata la 42. La velocità è quindi secondaria rispetto alla complessità dell’opera: se il governo impiega due anni per scrivere il decreto delegato, il Parlamento ne impiegherebbe dieci, al minimo.

      Ripeto, a me sembra che si voglia accusare lo strumento dell’abuso che altri ne hanno fatto.

      1. Mi sfugge il motivo per cui pretendi di aver ragione a tutti i costi e non ti premuri di soffermarti con un minimo di senso critico sui rilievi formulati, degnandoli di una risposta adeguata.

        Provvedo quindi a rispondere punto per punto ai tuoi “trancianti” principi di risposta:

        1) Se tu parli dello strumento tecnico con riguardo all’approvazione dei codici, io ti rispondo che la delega fu quello prescelto per il semplice fatto che il parlamento era esautorato. Nessun rilievo da parte mia sugli illustri (anche se di alcuni fu manifesta la intrinsecità al regime) studiosi che si occuparono di redigere i testi. Cerca di capire: che le commissioni di riforma fossero composte da studiosi di chiara fama non implicava necessariamente che si legiferasse per (regio) decreto: poteva benissimo occuparsene il parlamento all’esito della stesura degli articolati, ma così non è stato per effetto della concentrazione del potere connaturata al regime fascista.

        2) A tirare in ballo la necessità (“obbligatorietà”) della legislazione delegata per motivi di celerità e “tecnicità” della materia non sono certo stato io, ma tu. Di conseguenza, ho cercato di dimostrarti, come dietro il paravento della necessità di un intervento “complesso” e rapido si giustifichi un ricorso pressoché indiscriminato allo strumento della delega. Probabilmente le tue conoscenze sui numerosi ambiti che ti ho citato non sono particolarmente approfondite e preferisci celarti dietro un “no comment”, ma faresti meglio ad andare oltre il luogo comune “complesso = delega”, che hai riproposto anche nella tua risposta.

        3) Lo strumento “decreto legislativo” esiste ed ha delle precise condizioni d’uso, ma queste sono puntualmente piegate o del tutto pretermesse nelle sue applicazioni concrete. Ti dispiace che lo ricordi o preferisci parlare del decreto legislativo “in vitro”, in condizioni asettiche di laboratorio? Proprio ragionamenti del tipo “se il governo impiega due anni per scrivere il decreto delegato, il Parlamento ne impiegherebbe dieci, al minimo” giovano all’esecutivo di turno nell’estendere il ricorso alle deleghe normative. Se secondo te basta rispondere “Il parlamento è libero di delegare, lo prevede la Costituzione, è un’espressione della sua sovranità”, allora manchi completamente l’obiettivo dei miei rilievi, specie su un punto qualificante quale quello tributario. Infatti, non ho detto che la delega contraddice il principio “No taxation without representation”, ma “contribuisce a scalfirlo”. In altri termini, scelte di fondamentale importanza e con dirette ripercussioni sui cittadini sono compiute in ambiti decisionali sempre più distanti da loro…e per rispondere a questo a te basta dire sostanzialmente “E’ previsto e quindi si può fare”? Non ti sovviene la necessità di interrogarti sul “come” si può fare? Sul fino a che punto sia legittimo?

        4) Ti sottrai al confronto anche per quanto riguarda l’evidente inversione del rapporto quantitativo “leggi/decreti delegati”: il problema non è storico, è giuridico ed anche politico. Non ti è capitato di pensare che se il maggior “produttore” di norme nel nostro paese è attualmente l’esecutivo, allora ancora una volta ci troviamo di fronte ad un deficit democratico? Specie se il titolare dell’esecutivo per la maggior parte degli ultimi anni è un certo sig. Silvio Berlusconi?

        5) Infine, a credere che io abbia confuso tra “d.lgs.” e “d.l.” sei tu. Basta che rilegga con un minimo di calma e mettendo da parte la suscettibilità offesa il mio intervento e vedrai che non c’è mai alcuna confusione terminologica, né concettuale. A suggerirti che ne so qualcosa dell’argomento sarebbero forse bastati i riferimenti che ho menzionato, ma a te premeva di più cercare di mettermi in ridicolo e questo è un errore: perché devi dimostrare superiorità nei confronti di uno sconosciuto che ti propone la sua opinione? Lasciamo le competizioni a chi ce l’ha più duro ai leghisti e cerchiamo di dialogare, per favore.

        Tu stesso (lo ripeto ancora) hai tirato fuori il frusto argomento per cui la complessità di una materia e la necessità di intervenire in tempi brevi rendono “praticamente obbligatorio” ricorrere alla legislazione delegata, anziché ricorrere al dibattito parlamentare. Per parte mia, ho cercato di dimostrarti come questa maniera di argomentare sia in larga parte frutto di un luogo comune, come ai decreti legislativi si ricorra anche quando la materia non sia “complessa” e non vi sia neppure particolare necessità di intervenire celermente e, infine, come con i decreti legislativi si siano realizzate riforme pessime sia sul piano formale, che su quello contenutistico.

        Soffermandomi sul federalismo fiscale, mi preme in particolare farti notare come la consapevolezza dell’importanza della riforma ha fatto sì che fosse richiesto un sia pure minimale coinvolgimento del parlamento attraverso il parere della c.d. bicameralina. Il piccolo intoppo provocato dal mancato ottenimento di questo parere positivo sarà presto rimosso con qualche elargizione clientelare mirata sapientemente occulatata nei reconditi ambiti di qualche provvedimento “omnibus”…ed alla via così col “federalismo”.

        Infine, il punto è forse un altro ed avevo cercato di suggerire la mia opinione: il parlamento è solo un circo a doppio tendone dove siede un numero spropositato di clown e figuranti vari per effetto dell’attuale legge elettorale. Questo è il motivo per cui è improduttivo: è in realtà asservito alla volontà di pochi potentati ed è incapace di assumere decisioni per effetto della assoluta instabilità delle pur larghe maggioranze che i premi garantiscono.

        Meglio legiferare nella quiete e nel silenzio di qualche remoto ufficio ministeriale: nessuno lo scoprirà fintantoché il nuovo comma terdecies-bis (esiste davvero una simile numerazione!) non gli sarà già piombato addosso e allora, tanto peggio!

        1. >Mi sfugge il motivo per cui pretendi di aver ragione a tutti i costi

          Perché non ritengo di avere torto. E tu, invece?

          > Se tu parli dello strumento tecnico con riguardo all’approvazione dei codici, io ti rispondo che la delega fu quello prescelto per il semplice fatto che il parlamento era esautorato. Nessun rilievo da parte mia sugli illustri (anche se di alcuni fu manifesta la intrinsecità al regime) studiosi che si occuparono di redigere i testi. Cerca di capire: che le commissioni di riforma fossero composte da studiosi di chiara fama non implicava necessariamente che si legiferasse per (regio) decreto: poteva benissimo occuparsene il parlamento all’esito della stesura degli articolati, ma così non è stato per effetto della concentrazione del potere connaturata al regime fascista.

          Non parlo solo dell’approvazione dei codici: lo strumento del decreto legislativo è stato usato per molte riforme complesse anche dopo la nascita della Repubblica, riforme per le quali la procedura parlamentare non può raggiungere un adeguato livello di adeguatezza tecnica in tempi ragionevoli. Il richiamo alla concentrazione di potere per sminuire lo strumento mi pare una reductio ad Hitlerum

          > A tirare in ballo la necessità (“obbligatorietà”) della legislazione delegata per motivi di celerità e “tecnicità” della materia non sono certo stato io, ma tu. Di conseguenza, ho cercato di dimostrarti, come dietro il paravento della necessità di un intervento “complesso” e rapido si giustifichi un ricorso pressoché indiscriminato allo strumento della delega.

          E io ho risposto che il fatto che (spesso o talvolta) si sia abusato dello strumento non significa che vi sia sempre un abuso. Altra fallacia.

          > Probabilmente le tue conoscenze sui numerosi ambiti che ti ho citato non sono particolarmente approfondite e preferisci celarti dietro un “no comment”, ma faresti meglio ad andare oltre il luogo comune “complesso = delega”, che hai riproposto anche nella tua risposta.

          Non arretro neppure di un passo: resto convinto del fatto che per materie complesse, ferme almeno le attuali procedure parlamentari, lo strumento della delega è da preferirsi. Semmai il problema è un altro, e cioè che, a differenza di altri Paesi, il rafforzamento dell’esecutivo in Italia non è stato controbilanciato da un rafforzamento del controllo parlamentare, che anzi è divenuto sempre più inginocchiato.

          > Lo strumento “decreto legislativo” esiste ed ha delle precise condizioni d’uso, ma queste sono puntualmente piegate o del tutto pretermesse nelle sue applicazioni concrete. Ti dispiace che lo ricordi o preferisci parlare del decreto legislativo “in vitro”, in condizioni asettiche di laboratorio?

          Non ho mai negato che i governi, specie negli ultimi anni, ne abbiano abusato.

          > Proprio ragionamenti del tipo “se il governo impiega due anni per scrivere il decreto delegato, il Parlamento ne impiegherebbe dieci, al minimo” giovano all’esecutivo di turno nell’estendere il ricorso alle deleghe normative.

          È un ragionamento, almeno dal mio punto di vista, corretto: se il Parlamento si piega anche se il Governo vuole legiferare via decreto sulla caccia al piccione, la colpa è del Parlamento debole, non dell’esecutivo forte.

          > Se secondo te basta rispondere “Il parlamento è libero di delegare, lo prevede la Costituzione, è un’espressione della sua sovranità”, allora manchi completamente l’obiettivo dei miei rilievi, specie su un punto qualificante quale quello tributario. Infatti, non ho detto che la delega contraddice il principio “No taxation without representation”, ma “contribuisce a scalfirlo”. In altri termini, scelte di fondamentale importanza e con dirette ripercussioni sui cittadini sono compiute in ambiti decisionali sempre più distanti da loro…e per rispondere a questo a te basta dire sostanzialmente “E’ previsto e quindi si può fare”? Non ti sovviene la necessità di interrogarti sul “come” si può fare? Sul fino a che punto sia legittimo?

          Fino a che punto sia legittimo dipende dalla questione cui ci stiamo riferendo. In generale (e sottolineo in generale) la possibilità di affrontare materie complesse in un tempo si scontra con limiti importanti dei partiti e del Parlamento: il carattere selettivo degli interessi partitici (e in particolare per il caso Italia dei singoli parlamentari, sempre a caccia di diligenze da assaltare), i limiti operativi, per cui partiti e Parlamento non hanno a disposizione le risorse che la burocrazia fornisce al Governo, e spesso neppure quelle a disposizione dei gruppi d’interesse; quello temporale di cui abbiamo parlato.

          Nel caso specifico, trovo legittimo che il Parlamento abbia delegato il governo di trovare la quadra per il federalismo fiscale. Il governo non l’ha trovata, il Parlamento e il Presidente della Repubblica l’hanno fermato: il sistema ha funzionato, almeno fino alla prossima forzatura governativa. Il sistema dei pesi e contrappesi è debole, ma non assente.

          > Ti sottrai al confronto anche per quanto riguarda l’evidente inversione del rapporto quantitativo “leggi/decreti delegati”: il problema non è storico, è giuridico ed anche politico. Non ti è capitato di pensare che se il maggior “produttore” di norme nel nostro paese è attualmente l’esecutivo, allora ancora una volta ci troviamo di fronte ad un deficit democratico? Specie se il titolare dell’esecutivo per la maggior parte degli ultimi anni è un certo sig. Silvio Berlusconi?

          Concordo, senza dubbio, ma non riesco a generalizzare il tutto arrivando a dire che i decreti (entrambi) costituiscono un vulnus della democrazia. Il vulnus lo costituisce la classe politica.

          Fai poi un errore grosso come una casa quando dici che se il maggior produttore di norme è l’esecutivo siamo di fronte a un deficit democratico, quando invece è tutto il contrario. Converrai con me che Francia, Spagna, Regno Unito e Germania stiano un po’ meglio dell’Italia sul fronte democratico. Ebbene, in questi Paesi l’iniziativa governativa rappresenta da un minimo del 70% a un massimo (ma poco significativo) del 100% sul totale (mi riferisco a dati riferiti su più anni nell’ultimo decennio, fonte: rapporto annuale dell’osservatorio per l’iniziativa legislativa istituito presso la Camera dei Deputati). In Italia dalla I legislatura alla XV lo stesso tasso è stato pari a un minimo di 66,9 (legislatura IV) a un massimo di 89,2% (XII). Il deficit democratico non è nella produzione dell’esecutivo, il deficit democratico è nell’esecutivo, cosa estremamente differente.

          Il tutto ricomprende anche la legislazione delegata (in senso ampio: sia uso della legge delega che della delegificazione e strumenti simili). Dunque non mi preoccupa il fatto che si usi la legislazione delegata, mi preoccupa chi la usa.

          >Infine, a credere che io abbia confuso tra “d.lgs.” e “d.l.” sei tu. Basta che rilegga con un minimo di calma e mettendo da parte la suscettibilità offesa il mio intervento e vedrai che non c’è mai alcuna confusione terminologica, né concettuale. A suggerirti che ne so qualcosa dell’argomento sarebbero forse bastati i riferimenti che ho menzionato, ma a te premeva di più cercare di mettermi in ridicolo e questo è un errore: perché devi dimostrare superiorità nei confronti di uno sconosciuto che ti propone la sua opinione? Lasciamo le competizioni a chi ce l’ha più duro ai leghisti e cerchiamo di dialogare, per favore.

          Pardon, visti i tuoi interventi precedenti ho solo sottinteso che fossi preparato e conoscessi quando e perché servono l’uno o l’altro. Per come la vedo io: decreto legge → necessità di fare presto in situazioni impreviste; decreto legislativo → necessità di sbrogliare la complessità in un tempo ragionevole. La velocità è carattere del primo, non del secondo, per cui tirarlo in ballo mi pare forzato (l’ho fatto io per primo, non lo nego, forse no mi sono spiegato bene, ma i riferimenti al tempo erano relativi a termini di ragionevolezza).

          >Tu stesso (lo ripeto ancora) hai tirato fuori il frusto argomento per cui la complessità di una materia e la necessità di intervenire in tempi brevi rendono “praticamente obbligatorio” ricorrere alla legislazione delegata, anziché ricorrere al dibattito parlamentare. Per parte mia, ho cercato di dimostrarti come questa maniera di argomentare sia in larga parte frutto di un luogo comune, come ai decreti legislativi si ricorra anche quando la materia non sia “complessa” e non vi sia neppure particolare necessità di intervenire celermente e, infine, come con i decreti legislativi si siano realizzate riforme pessime sia sul piano formale, che su quello contenutistico.

          Forse il problema è che abbiamo una visione differente dei tempi: celermente, per me, non significa in fretta, significa in tempi ragionevoli. Tutto qua.

          > Soffermandomi sul federalismo fiscale, mi preme in particolare farti notare come la consapevolezza dell’importanza della riforma ha fatto sì che fosse richiesto un sia pure minimale coinvolgimento del parlamento attraverso il parere della c.d. bicameralina. Il piccolo intoppo provocato dal mancato ottenimento di questo parere positivo sarà presto rimosso con qualche elargizione clientelare mirata sapientemente occulatata nei reconditi ambiti di qualche provvedimento “omnibus”…ed alla via così col “federalismo”.

          Ci sono sempre commissioni parlamentari che vigiliano sulle deleghe: la loro efficacia, però e ovviamente, è strettamente collegata a spina dorsale e testicoli dei parlamentari. Nuovamente ne faccio un problema di classe politica. Che il federalismo sarà toccato da compromessi al ribasso (per noi), nella legge delega o nelle pieghe di qualche decreto, è un problema che mi pongo pure io (articolo fresco fresco http://www.dirittodicritica.com/2011/02/08/federalismo-centrodestra-tasse-irpef/ ). Non tocca però le mie convinzioni generali, e cioè che non ci vedo nulla di male nel rafforzamento dell’esecutivo e del suo uso degli strumenti messi a disposizione dalla Costituzione. Vedo male l’indebolimento del Parlamento, che invece dovrebbe essere rafforzato nel suo controllo del Governo.

          >Infine, il punto è forse un altro ed avevo cercato di suggerire la mia opinione: il parlamento è solo un circo a doppio tendone dove siede un numero spropositato di clown e figuranti vari per effetto dell’attuale legge elettorale. Questo è il motivo per cui è improduttivo: è in realtà asservito alla volontà di pochi potentati ed è incapace di assumere decisioni per effetto della assoluta instabilità delle pur larghe maggioranze che i premi garantiscono.

          E questo è il problema pure a mio modesto avviso.

          > Meglio legiferare nella quiete e nel silenzio di qualche remoto ufficio ministeriale: nessuno lo scoprirà fintantoché il nuovo comma terdecies-bis (esiste davvero una simile numerazione!) non gli sarà già piombato addosso e allora, tanto peggio!

          Questo non è vero, ma neppure totalmente falso. Mi spiego: i governi, da che esiste il mondo, governano o tentano di governare in quiete e in silenzio e magari di nascosto. Siccome questa cosa si presta ad abusi, gli uomini hanno inventato i Parlamenti, gli obblighi di trasparenza e la libertà di stampa (solo per citarne alcuni). In Italia la cosa più forte che abbiamo è una relativa trasparenza, visto che bene o male tutto viene pubblicato: il problema è che non vi sono (o hanno enormi difficoltà) coloro i quali devono rendere pubbliche quelle cose. Se per un miracolo in questo stesso secondo venisse fuori una classe politica non vicendevolmente ricattabile (il problema non è solo Berlusconi: Ferrara disse su MicroMega, in un lampo di sincerità, che tutti quelli che fanno politica hanno degli scheletri nell’armadio, e nell’ambiente si conoscono) e un’informazione veramente libera, sui telegiornali del pomeriggio vedremmo teste mozzate sul tetto di Montecitorio.

          E non perché il governo ha usato o abusato di decreti, bensì perché ha governato male (sempre ammesso che abbia governato), e il Parlamento se ne è reso complice. Io dubito fortemente che se avessimo avuto (al limite) un divieto di iniziativa legislativa governativa, le cose sarebbero andate diversamente.

        2. >Mi sfugge il motivo per cui pretendi di aver ragione a tutti i costi

          Perché non ritengo di avere torto. E tu, invece?

          > Se tu parli dello strumento tecnico con riguardo all’approvazione dei codici, io ti rispondo che la delega fu quello prescelto per il semplice fatto che il parlamento era esautorato. Nessun rilievo da parte mia sugli illustri (anche se di alcuni fu manifesta la intrinsecità al regime) studiosi che si occuparono di redigere i testi. Cerca di capire: che le commissioni di riforma fossero composte da studiosi di chiara fama non implicava necessariamente che si legiferasse per (regio) decreto: poteva benissimo occuparsene il parlamento all’esito della stesura degli articolati, ma così non è stato per effetto della concentrazione del potere connaturata al regime fascista.

          Non parlo solo dell’approvazione dei codici: lo strumento del decreto legislativo è stato usato per molte riforme complesse anche dopo la nascita della Repubblica, riforme per le quali la procedura parlamentare non può raggiungere un adeguato livello di adeguatezza tecnica in tempi ragionevoli. Il richiamo alla concentrazione di potere per sminuire lo strumento mi pare una reductio ad Hitlerum

          > A tirare in ballo la necessità (“obbligatorietà”) della legislazione delegata per motivi di celerità e “tecnicità” della materia non sono certo stato io, ma tu. Di conseguenza, ho cercato di dimostrarti, come dietro il paravento della necessità di un intervento “complesso” e rapido si giustifichi un ricorso pressoché indiscriminato allo strumento della delega.

          E io ho risposto che il fatto che (spesso o talvolta) si sia abusato dello strumento non significa che vi sia sempre un abuso. Altra fallacia.

          > Probabilmente le tue conoscenze sui numerosi ambiti che ti ho citato non sono particolarmente approfondite e preferisci celarti dietro un “no comment”, ma faresti meglio ad andare oltre il luogo comune “complesso = delega”, che hai riproposto anche nella tua risposta.

          Non arretro neppure di un passo: resto convinto del fatto che per materie complesse, ferme almeno le attuali procedure parlamentari, lo strumento della delega è da preferirsi. Semmai il problema è un altro, e cioè che, a differenza di altri Paesi, il rafforzamento dell’esecutivo in Italia non è stato controbilanciato da un rafforzamento del controllo parlamentare, che anzi è divenuto sempre più inginocchiato.

          > Lo strumento “decreto legislativo” esiste ed ha delle precise condizioni d’uso, ma queste sono puntualmente piegate o del tutto pretermesse nelle sue applicazioni concrete. Ti dispiace che lo ricordi o preferisci parlare del decreto legislativo “in vitro”, in condizioni asettiche di laboratorio?

          Non ho mai negato che i governi, specie negli ultimi anni, ne abbiano abusato.

          > Proprio ragionamenti del tipo “se il governo impiega due anni per scrivere il decreto delegato, il Parlamento ne impiegherebbe dieci, al minimo” giovano all’esecutivo di turno nell’estendere il ricorso alle deleghe normative.

          È un ragionamento, almeno dal mio punto di vista, corretto: se il Parlamento si piega anche se il Governo vuole legiferare via decreto sulla caccia al piccione, la colpa è del Parlamento debole, non dell’esecutivo forte.

          > Se secondo te basta rispondere “Il parlamento è libero di delegare, lo prevede la Costituzione, è un’espressione della sua sovranità”, allora manchi completamente l’obiettivo dei miei rilievi, specie su un punto qualificante quale quello tributario. Infatti, non ho detto che la delega contraddice il principio “No taxation without representation”, ma “contribuisce a scalfirlo”. In altri termini, scelte di fondamentale importanza e con dirette ripercussioni sui cittadini sono compiute in ambiti decisionali sempre più distanti da loro…e per rispondere a questo a te basta dire sostanzialmente “E’ previsto e quindi si può fare”? Non ti sovviene la necessità di interrogarti sul “come” si può fare? Sul fino a che punto sia legittimo?

          Fino a che punto sia legittimo dipende dalla questione cui ci stiamo riferendo. In generale (e sottolineo in generale) la possibilità di affrontare materie complesse in un tempo si scontra con limiti importanti dei partiti e del Parlamento: il carattere selettivo degli interessi partitici (e in particolare per il caso Italia dei singoli parlamentari, sempre a caccia di diligenze da assaltare), i limiti operativi, per cui partiti e Parlamento non hanno a disposizione le risorse che la burocrazia fornisce al Governo, e spesso neppure quelle a disposizione dei gruppi d’interesse; quello temporale di cui abbiamo parlato.

          Nel caso specifico, trovo legittimo che il Parlamento abbia delegato il governo di trovare la quadra per il federalismo fiscale. Il governo non l’ha trovata, il Parlamento e il Presidente della Repubblica l’hanno fermato: il sistema ha funzionato, almeno fino alla prossima forzatura governativa. Il sistema dei pesi e contrappesi è debole, ma non assente.

          > Ti sottrai al confronto anche per quanto riguarda l’evidente inversione del rapporto quantitativo “leggi/decreti delegati”: il problema non è storico, è giuridico ed anche politico. Non ti è capitato di pensare che se il maggior “produttore” di norme nel nostro paese è attualmente l’esecutivo, allora ancora una volta ci troviamo di fronte ad un deficit democratico? Specie se il titolare dell’esecutivo per la maggior parte degli ultimi anni è un certo sig. Silvio Berlusconi?

          Concordo, senza dubbio, ma non riesco a generalizzare il tutto arrivando a dire che i decreti (entrambi) costituiscono un vulnus della democrazia. Il vulnus lo costituisce la classe politica.

          Fai poi un errore grosso come una casa quando dici che se il maggior produttore di norme è l’esecutivo siamo di fronte a un deficit democratico, quando invece è tutto il contrario. Converrai con me che Francia, Spagna, Regno Unito e Germania stiano un po’ meglio dell’Italia sul fronte democratico. Ebbene, in questi Paesi l’iniziativa governativa rappresenta da un minimo del 70% a un massimo (ma poco significativo) del 100% sul totale (mi riferisco a dati riferiti su più anni nell’ultimo decennio, fonte: rapporto annuale dell’osservatorio per l’iniziativa legislativa istituito presso la Camera dei Deputati). In Italia dalla I legislatura alla XV lo stesso tasso è stato pari a un minimo di 66,9 (legislatura IV) a un massimo di 89,2% (XII). Il deficit democratico non è nella produzione dell’esecutivo, il deficit democratico è nell’esecutivo, cosa estremamente differente.

          Il tutto ricomprende anche la legislazione delegata (in senso ampio: sia uso della legge delega che della delegificazione e strumenti simili). Dunque non mi preoccupa il fatto che si usi la legislazione delegata, mi preoccupa chi la usa.

          >Infine, a credere che io abbia confuso tra “d.lgs.” e “d.l.” sei tu. Basta che rilegga con un minimo di calma e mettendo da parte la suscettibilità offesa il mio intervento e vedrai che non c’è mai alcuna confusione terminologica, né concettuale. A suggerirti che ne so qualcosa dell’argomento sarebbero forse bastati i riferimenti che ho menzionato, ma a te premeva di più cercare di mettermi in ridicolo e questo è un errore: perché devi dimostrare superiorità nei confronti di uno sconosciuto che ti propone la sua opinione? Lasciamo le competizioni a chi ce l’ha più duro ai leghisti e cerchiamo di dialogare, per favore.

          Pardon, visti i tuoi interventi precedenti ho solo sottinteso che fossi preparato e conoscessi quando e perché servono l’uno o l’altro. Per come la vedo io: decreto legge → necessità di fare presto in situazioni impreviste; decreto legislativo → necessità di sbrogliare la complessità in un tempo ragionevole. La velocità è carattere del primo, non del secondo, per cui tirarlo in ballo mi pare forzato (l’ho fatto io per primo, non lo nego, forse no mi sono spiegato bene, ma i riferimenti al tempo erano relativi a termini di ragionevolezza).

          >Tu stesso (lo ripeto ancora) hai tirato fuori il frusto argomento per cui la complessità di una materia e la necessità di intervenire in tempi brevi rendono “praticamente obbligatorio” ricorrere alla legislazione delegata, anziché ricorrere al dibattito parlamentare. Per parte mia, ho cercato di dimostrarti come questa maniera di argomentare sia in larga parte frutto di un luogo comune, come ai decreti legislativi si ricorra anche quando la materia non sia “complessa” e non vi sia neppure particolare necessità di intervenire celermente e, infine, come con i decreti legislativi si siano realizzate riforme pessime sia sul piano formale, che su quello contenutistico.

          Forse il problema è che abbiamo una visione differente dei tempi: celermente, per me, non significa in fretta, significa in tempi ragionevoli. Tutto qua.

          > Soffermandomi sul federalismo fiscale, mi preme in particolare farti notare come la consapevolezza dell’importanza della riforma ha fatto sì che fosse richiesto un sia pure minimale coinvolgimento del parlamento attraverso il parere della c.d. bicameralina. Il piccolo intoppo provocato dal mancato ottenimento di questo parere positivo sarà presto rimosso con qualche elargizione clientelare mirata sapientemente occulatata nei reconditi ambiti di qualche provvedimento “omnibus”…ed alla via così col “federalismo”.

          Ci sono sempre commissioni parlamentari che vigiliano sulle deleghe: la loro efficacia, però e ovviamente, è strettamente collegata a spina dorsale e testicoli dei parlamentari. Nuovamente ne faccio un problema di classe politica. Che il federalismo sarà toccato da compromessi al ribasso (per noi), nella legge delega o nelle pieghe di qualche decreto, è un problema che mi pongo pure io (articolo fresco fresco http://www.dirittodicritica.com/2011/02/08/federalismo-centrodestra-tasse-irpef/ ). Non tocca però le mie convinzioni generali, e cioè che non ci vedo nulla di male nel rafforzamento dell’esecutivo e del suo uso degli strumenti messi a disposizione dalla Costituzione. Vedo male l’indebolimento del Parlamento, che invece dovrebbe essere rafforzato nel suo controllo del Governo.

          >Infine, il punto è forse un altro ed avevo cercato di suggerire la mia opinione: il parlamento è solo un circo a doppio tendone dove siede un numero spropositato di clown e figuranti vari per effetto dell’attuale legge elettorale. Questo è il motivo per cui è improduttivo: è in realtà asservito alla volontà di pochi potentati ed è incapace di assumere decisioni per effetto della assoluta instabilità delle pur larghe maggioranze che i premi garantiscono.

          E questo è il problema pure a mio modesto avviso.

          > Meglio legiferare nella quiete e nel silenzio di qualche remoto ufficio ministeriale: nessuno lo scoprirà fintantoché il nuovo comma terdecies-bis (esiste davvero una simile numerazione!) non gli sarà già piombato addosso e allora, tanto peggio!

          Questo non è vero, ma neppure totalmente falso. Mi spiego: i governi, da che esiste il mondo, governano o tentano di governare in quiete e in silenzio e magari di nascosto. Siccome questa cosa si presta ad abusi, gli uomini hanno inventato i Parlamenti, gli obblighi di trasparenza e la libertà di stampa (solo per citarne alcuni). In Italia la cosa più forte che abbiamo è una relativa trasparenza, visto che bene o male tutto viene pubblicato: il problema è che non vi sono (o hanno enormi difficoltà) coloro i quali devono rendere pubbliche quelle cose. Se per un miracolo in questo stesso secondo venisse fuori una classe politica non vicendevolmente ricattabile (il problema non è solo Berlusconi: Ferrara disse su MicroMega, in un lampo di sincerità, che tutti quelli che fanno politica hanno degli scheletri nell’armadio, e nell’ambiente si conoscono) e un’informazione veramente libera, sui telegiornali del pomeriggio vedremmo teste mozzate sul tetto di Montecitorio.

          E non perché il governo ha usato o abusato di decreti, bensì perché ha governato male (sempre ammesso che abbia governato), e il Parlamento se ne è reso complice. Io dubito fortemente che se avessimo avuto (al limite) un divieto di iniziativa legislativa governativa, le cose sarebbero andate diversamente.

          1. Caro Tooby, proprio nell’esordio della tua risposta dimostri di non aver capito il mio spirito, né lo scopo dei miei interventi. Non tengo affatto ad avere ragione, al contrario di quanto sembra premere tanto a te: m’interessa solo fornire degli spunti fondati su anni di riflessioni e studi, ma mi trovo di fronte ad un’imbarazzante invettiva.

            Tanto per cominciare, nessuno mi aveva mai accusato addirittura di “reductio ad hitlerum” (come adoro questi deliziosi neologismi da nerd!), per giunta, credo, in maniera gratuita ed ingenerosa. Ricostruisco la sequenza per tua comodità: 1) tu invochi l’approvazione dei codici antebellici a mezzo di decreto come caso esemplare di ricorso a questo strumento per ambiti complessi; 2) ti dimostro che i codici erano stati approvati per mezzo di decreto a causa del progressivo esautoramento del parlamento (e, soggiungo, della volontà di controllo immediato dello stesso Mussolini), e argomento che in un ambito diverso, avrebbero potuto anche indifferentemente essere approvate dal parlamento, cosa che è avvenuta in Svizzera; 3) mi accusi capziosamente di “reductio ad hitlerum” senza peraltro rispondere affatto sul caso della Svizzera (la cui codificazione, per bontà, è stata immediatamente ripresa dalla Turchia e da molti altri paesi al mondo).

            Limitandomi al caso del solo caso del codice civile, almeno lo sai come si chiamava il parlamento italiano all’epoca? Se ti sfugge, ti procuro molto volentieri un link: http://it.wikipedia.org/wiki/Camera_dei_Fasci_e_delle_Corporazioni . Ti prego, quindi, di non venirmi a dire che in quell’epoca storica la concentrazione del potere non influenzasse la scelta dello strumento di approvazione dei testi di legge. Ad ogni modo, ti consiglio la lettura (particolarmente istruttiva) di qualche volume concernente la storia della codificazione civile, e personalmente ti segnalo questo: https://shop.giuffre.it/it-IT/products/149244.html .

            In secondo luogo, tu difendi a spada tratta l’astrazione del decreto legislativo e gli stereotipi che sono sorti intorno ad essa, io cerco di mostrartene la realtà e le pecche. Quando lo faccio e parlo di cose su cui evidentemente non ti muovi a tuo agio, ti limiti ad invocare (peraltro impropriamente) la “fallacia”, come se avessi detto falsità (questo il significato primario del termine: consultare il dizionario serve) o avessi commesso errori (questo il significato secondario). Se ho commesso degli svarioni nell’esporre numerosi esempi di procedimenti normativi assolutamente stravolti, allora faccio ammenda, ma qui mi pare, piuttosto, che tu non voglia affrontare il tema e preferisca tacciarmi d’aver sbagliato (su cosa, se possibile?).

            Al di là dei veri e propri abusi, poi, potrei minuziosamente indicarti le pecche di decine di recenti decreti legislativi, e questo sarebbe più che sufficiente a smentire il tuo assunto “complesso = d.lgs.”, poiché dimostrerebbe che la qualità normativa “ordinaria” della legislazione delegata è scadente, e quindi inidonea a rispondere alla “domanda” di complessità che ne aveva giustificato l’utilizzazione. Mi pare, tuttavia, che tu non voglia prendere affatto in considerazione questa possibilità: se sarai curioso, comunque, non hai che da chiedere.

            In terzo luogo, ho anche poi molto da ridire sull’altro luogo comune della lentezza parlamentare: il parlamento va velocissimo quando è necessario, anche solo per consentire alla maggioranza di mostrare i muscoli, come accade spessissimo con la conversione dei decreti-legge (e qui sottolineo, a scanso di equivoci: decreti-legge, non decreti legislativi). Al di fuori dell’attività di conversione, ti farò un esempio per tutti: la riforma universitaria (“Gelmini”). Pur con una “navette” il tutto è stato chiuso entro la fine di dicembre…solo per dimostrare che potevano.
            Peraltro, credere che il parlamento sia sfornito di burocrazia, uffici studi ed altre risorse, è un errore madornale, dal momento che gli stessi studi parlamentari (non ultimo quello da te citato) ed i verbali di certe commissioni d’inchiesta sono quantitativamente e qualitativamente superiori a quelli governativi (e qui colgo anche l’occasione per lamentare che, a differenza di altri paesi – UK e Germania sopra tutti -, nessun governo italiano abbia mai ritenuto necessario svolgere degli studi sociali, economici, demografici…prima di realizzare importanti interventi attraverso la legislazione delegata). Gli uffici studi e ricerche delle camere sono imponenti e ricchi di validissimi ricercatori…ma questa forse non era una realtà a te nota, si può condonare.

            In quarto luogo, sulla specifica questione del federalismo fiscale (in astratto) non ho mai negato la legittimità della delega: ho solo sottolineato che in materia tributaria (come in altri settori altrettanto, se non più, delicati) la delega allontana la decisione da un organo democraticamente eletto. E’ una sfumatura che puoi cogliere o meno, ma è innegabile. Il problema non sta, però, nella singola delega, come ho già detto, ma nel massiccio ricorso che se ne fa: già Weber aveva segnalato i pericoli di sbilanciamento in senso amministrativo (“burocratico”) delle moderne democrazie…e la progressiva migrazione del potere decisionale dagli organi a legittimazione democratica diretta a quelli con legittimazione democratica indiretta (governo) o assai labile, per non dire nulla (le c.d. authorities) è un fenomeno che si inscrive alla perfezione nelle previsioni weberiane sul declino del c.d. “dominio legale”.

            Ti pongo un interrogativo: se la totalità della produzione normativa si realizzasse mediante decreti legislativi, allora per te andrebbe comunque bene?

            Un indizio per rispondere: in Francia tra 2008 e 2009 è stata approvata una riforma costituzionale e la legislazione connessa allo scopo di restituire centralità al ruolo del parlamento (p. 402 ss. dello studio linkato più sotto).

            In quinto luogo, tornando al federalismo fiscale, ti segnalo che nello stesso rapporto che tu citavi è scritto che l’articolato meccanismo di controllo da parte di una commissione parlamentare “ad hoc” istituito dalla legge delega sul punto non è una procedura a cui si ricorre “sempre” come hai scritto. Viceversa, è accaduto assai sporadicamente in passato ed è solo un bene che si sia voluto introdurlo ultimamente (ma qui credo solo che sia accaduto perché l’intenzione della Lega era quella di ottenere il massimo controllo…piccole birbe!).

            La conclusione è che il parlamento potrebbe pretendere di avere maggior controllo, ma normalmente non lo fa e ciò è un’ulteriore causa di deficit democratico. Esempio: questo è quanto avviene macroscopicamente nell’attuazione della normativa comunitaria, che statisticamente rappresenta la fetta più ampia di decreti legislativi; la legge delega “comunitaria”, come avevo già scritto, non contiene alcun criterio direttivo. La legge-delega è predisposta dal governo che ottiene, con la sua approvazione, di fare praticamente ciò che gli pare in quel settore (salvo tirate d’orecchie della Commissione…).

            In sesto luogo, mi permetto, poi, di darti una benevola tirata d’orecchie per quanto riguarda l’interpretazione delle statistiche sulla produzione normativa dello studio da te citato (vale la pena linkarlo per la sua qualità: http://www.camera.it/cartellecomuni/Leg16/documenti/Rapporto_2010_tomoII.pdf ): “iniziativa governativa” non è uguale ad “atto di produzione governativa”.

            Il primo termine significa che una certa legge (e sottolineo “legge”) è stata presentata come d.d.l. dal governo al parlamento e che quest’ultimo ha approvato. Esempi: 1) la l. 240/2010 è una legge, ma l’iniziativa legislativa è stata esercitata dal governo; 2) le leggi di ratifica di trattati internazionali sono tutte di iniziativa governativa (è il governo che svolge negoziati in sede internazionale), ma poi il parlamento deve approvare…ed il risultato, ancora una volta, è una legge; 3) le leggi di bilancio sono tutte di iniziativa governativa, ma poi il parlamento deve approvare…etc…etc…

            Gli atti di produzione governativa (d.l., d.lgs.) equiparati alle leggi, invece, sono cosa diversa e la loro quantità in Italia in passato è stata sensibilmente inferiore a quella delle leggi (basta dare un’occhiata al grafico a p. 296, anche per individuare i periodi recenti di maggiore “inversione di tendenza”): possibile che in passato non ci fossero questioni complesse da risolvere? Non è forse più plausibile immaginare che i governi, responsabilmente, hanno ritenuto di affidare la scelta anche su questioni complesse, ma importanti, al parlamento?

            Spero che sia chiaro che una cosa è che il parlamento legiferi su iniziativa governativa (salvo questione di fiducia: ma questa rende indifferente il fatto che formalmente legiferi il parlamento, mentre tutto dev’essere imputato al governo), il quale consente un vaglio da parte di un organo democratico, ed altra il fatto che sia direttamente il governo a legiferare (anche dal punto di vista statistico).

            Infine, non so come faccia a scrivere “non ci vedo nulla di male nel rafforzamento dell’esecutivo e del suo uso degli strumenti messi a disposizione dalla Costituzione. Vedo male l’indebolimento del Parlamento, che invece dovrebbe essere rafforzato nel suo controllo del Governo”. Studiando attentamente i rapporti interorganici, è facile giungere alla conclusione che non può esserci “indebolimento” dell’uno senza “rafforzamento” dell’altro…e storicamente l’eccessivo peso dell’esecutivo in una repubblica non è un buon sintomo per la democrazia, o sbaglio?

            Non capisco nemmeno come faccia a distinguere l'”azione di governo” dall’uso o dall’abuso dello strumento normativo (ed in particolar modo di d.lgs. e d.l.), dal momento che quella si realizza in massima parte attraverso la produzione normativa, ma questo è un limite di un giurista di provincia, che ammetto e per cui chiedo venia.

            Come vedi, l’obiettivo non è dire “vero-falso” o “giusto-sbagliato” (con l’eccezione di un paio di tue “sviste”), ma cercare di dibattere tra pari, senza darsi del mentecatto o adagiarsi su stereotipi.

            Non voglio tediare oltre né te, né – se esiste – il pazzo masochista che avrà letto fin qui, ma se vuoi proseguire, puoi scrivere alla mia email. Risponderò volentieri.

            P.S.: lascio da parte ulteriori valutazioni sulla classe politica, dato che siamo sostanzialmente d’accordo.

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