Tremonti, la 626 e la vita reale

Harry McShane, 16 anni nel 1908. La foto risale a poco tempo dopo che il suo braccio gli fu strappato da un macchinario della fabbrica dove lavorava. Non solo subì la mancanza di sicurezza sul lavoro, ma non ricevette mai alcun indennizzo

Gli economisti hanno un grave handicap rispetto ad altri scienziati/studiosi: la vita reale è in ogni caso più forte di loro, per cui per quanto possano essere usati modelli economici complessi e perfetti, alla fine, nel lungo periodo, un ingranaggio salterà sempre in modo del tutto imprevedibile e si dovrà ricominciare da capo.

Gli economisti ci provano a prevederla, anche in modo approssimato, ma hanno la necessità di creare modelli con parametri spesso totalmente irrealistici, quindi le loro capacità predittive sono assai limitate e infatti di solito i modelli sono meramente esplicativi. Esempio sciocco: un fisico può bene approssimare la caduta di un grave, mentre un economista non può bene approssimare la caduta del mercato immobiliare. Per questo, se prendiamo un gruppo di fisici, questi saranno in grado di dire in modo approssimato in quanto tempo una palla cade dalla cima di un grattacielo, mentre un gruppo di economisti non sarà in grado di predire non solo per quanto tempo, ma neppure se il mercato immobiliare crollerà. Basti pensare che prima della crisi finanziaria c’erano economisti che dicevano che tutto andava bene, erano osannati e guidavano la Federal Reserve e altri che erano additati come catastrofisti. E adesso la discussione si è spostata su se la ripresa sarà a L a V a W eccetera: margini di accordo zero.

Tuttavia gli economisti non cessano i loro sforzi nel tentativo di capire come funziona la vita reale, se non per predirla, almeno per spiegarla e preparare contromisure nei confronti di certi eventi.

Come ben sappiamo il nostro ministro dell’Economia non è un economista, bensì un commercialista, e un commercialista ha a che fare prima con le leggi e poi con la vita reale.

Questo spiega perché Tremonti abbia detto che la legge 626, che in linea teorica dovrebbe promuovere la sicurezza sui luoghi di lavoro, è un lusso che non possiamo permetterci. Tremonti, che dirige l’Economia da commercialista e non da economista come uno s’aspetterebbe, bada alla legge, fa i suoi conti e arriva ad una conclusione. La vita reale (ovvero la vita di operai, muratori, eccetera) è del tutto irrilevante: la sicurezza sul lavoro rappresenta un costo o almeno una limitazione delle attività dell’impresa. Questo ne fa diminuire la competitività nei confronti delle aziende di quei Paesi dove la sicurezza sul lavoro non è considerata neppure di striscio. Pertanto, secondo il nostro commercialista, la vita della gente è sacrificabile pur di far quadrare i conti.

Il punto è che la vita reale ci dice cose diverse, ovvero che la sicurezza sul lavoro è poco considerata non solo in contravvenzione con la 626, ma anche grazie alle sue lacune. Non solo la legge non viene rispettata nei luoghi di lavoro, ma essa crea azzardo morale in base al quale, in caso di incidente, il lavoratore di un’azienda che non rispetta la 626 passa a carico dello Stato e delle aziende che la rispettano, perché mancano misure efficaci per costringere tale azienda a rispettare la legge. In linea di massima, un’impresa che non rispetta la legge andrebbe espulsa dal sistema, non semplicemente costretta a pagare una multarella.

Se Tremonti fosse un’economista, capirebbe che le leggi non sono date e, in particolare, cattive (come giustamente fanno i commercialisti), ma possono essere usate per indirizzare la società in certe direzioni. Per uscire dalla cronica mancanza di crescita senza necessariamente richiamare i bambini ai telai, “basterebbe” favorire l’innovazione o l’aumento della produttività o promuovere altri provvedimenti che, se correttamente applicati, non implicherebbero una crescita di morti e feriti sul lavoro, in base a formule già sperimentate in mezzo mondo. Gli strumenti per fare ciò non mancano, manca la volontà, cosa che chi ci governa non ha mai avuto sin dal 1994.

Tremonti, da bravo commercialista, mira a tenere i conti in ordine. Ma per il ruolo che ricopre è quanto meno inadeguato: non basta aggiustare i conti pubblici, occorre ‘fare politica’ per la crescita. E per fare ciò serve gente in grado di capire quali leve vanno mosse per aumentare o almeno mantenere costante il benessere della popolazione e tenere i conti in ordine, ovvero economisti o qualcosa di almeno simile.

Ma Tremonti non è un economista. È un incapace.

E intanto non ricordo più da quanto tempo non abbiamo un ministro dello Sviluppo economico. Così come non ricordo l’ultima volta che abbiamo avuto sviluppo economico.

Ma va tutto bene, tranquilli, la crisi è solo un’invenzione dei comunisti per attaccare il governo del [non so che] fare.

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One Comment

  1. ‘Povvca puttava! Povvca tvoia!!’

    Ma Guzzanti è stato anche troppo generoso. Qui sembra la battuta di Luttazzi ‘ma Brunetta rassicura: risolveremo contemporaneamente il problema dei giovani precari e della mancanza di organi per trapianti’.

    Qui ci fanno a fette, ci pisciano in testa e dicono che piove. E boccuccia a culo di gallina/tremorti si inalbera con voce querula se qualcuno gli fa notare che il gioco dei camerieri non fa 1.010 euro in società offshore.

    Questi sono pazzi. Ma anche paraculi, vedi Mondadori e i suoi 350 mln di euro da pagare (col piffero).

    Up patriots to arms! Ma subito, prima che i morti sul lavoro finiscano in una voce del Pil appositamente creata da questo buffone.

    ‘è difficile risolvere i problemi se hai la testa che è osso al 98%’ (sempre Luttazzi su Tremonti).

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