Disorganizzazione o marketing dell’esasperazione? Un giretto all’ufficio postale

Poco fa sono andato all’ufficio postale. È una cosa che cerco di fare il meno possibile, ma ogni tanto devo ricaricare la PostePay per pagare poi bollette e cose varie. Solitamente vado all’ufficio postale giù al Nord, dove in dieci-venti minuti riesco a fare tutto.

Visto che sono in vacanza dai miei, però, mi sono recato all’ufficio postale della mia città d’origine, su al Sud. Erano le 12:45, quasi ora di pranzo, si poteva supporre non ci fosse quasi nessuno (e così è giù al Nord). All’interno, invece, erano stipate una cinquantina di persone, alcune in fila dalle 11. Gli sportelli aperti erano tre: uno (lettera P) per la corrispondenza; uno (lettera E) riservato ai titolari del conto Bancoposta; l’ultimo (lettera A) per i comuni mortali.

Vado alla macchinetta e prendo il mio numerino: A229. Lo sportello sta servendo A188. Dopo mezz’ora (13:20) si stava servendo il numero A192, mentre un signore piuttosto anziano riceveva dalla macchinetta il numero A256.

A quel punto mi sono piazzato vicino alla macchinetta e ho preso matita e taccuino per segnarmi qualche fatto saliente. Noto, intanto, che gli altri due sportelli sono molto più veloci: la lettera E stava servendo il 127 e l’ultimo numero “estratto” era il 136, mentre per la lettera P si stava servendo il 93 su 96.

La cosa più “divertente” era che la priorità veniva assegnata sempre a chi aveva il conto Bancoposta, per cui il cliente Bancoposta entrato un minuto prima sovente veniva immediatamente servito, al contrario del solito comune mortale, che doveva aspettare ore (letteralmente).

Alle 13:24 viene aperto un nuovo sportello. Esce la lettera A, ma c’è un errore, e infatti l’impiegata chiama il tecnico, perché lei deve smistare la lettera P (cosa non necessaria, come avete letto sopra: la fila P non era per nulla lunga). Il tecnico, però, non riesce a sistemare tutto e l’impiegata torna a lavorare nel retro. Tutto come prima. Come se niente fosse.

Nel frattempo viene aperto un altro sportello, stavolta per la lettera A. Ma intanto chiude lo sportello A che era già aperto: l’impiegata ha terminato il suo turno. Ancora, tutto come prima.

Alle 13:35 la macchinetta estraeva il numero A259, contro il 199 servito. Tre minuti dopo veniva estratto A261 e servito il 200. Cinque minuti dopo verrà servito il 201. Io, ormai, rimango lì più per dovere di cronaca che per altro (non avevo urgenza di liquidi elettronici).

Avrete notato che il flusso di persone in entrata, nel frattempo, era diminuito: era pur sempre ora di pranzo. Finalmente anche gli altri due sportelli rimasti cominciano a smaltire la coda della lettera A, poiché non c’erano più clienti E e P. In dieci minuti si arriva al mio A229. Me la sono cavata in un’ora, ma il numero 200 era lì da oltre due ore.

Nel frattempo ho rimuginato sui motivi di questa discriminazione. All’inizio credevo fosse mera disorganizzazione: nell’ufficio postale al Nord l’unica discriminazione sussisteva fra prodotti postali e prodotti bancari. Uno sportello poteva essere specializzato per la lettera E, ma il sistema, se la fila della lettera A diventava troppo lunga, provvedeva a smaltire parte di questa coda prima di tornare alla lettera E. In questo modo nessuno aspettava troppo tempo.

Poi ho chiacchierato con un po’ con gli altri clienti e ascoltato le loro conversazioni, e mi è venuta un’altra idea. Varie persone, dopo avere saputo che chi aveva il conto Bancoposta saltava la fila, ha cominciato a considerare l’ipotesi di aprirne uno ed evitare questo strazio. La possibilità che la discriminazione fosse stata attuata per spingere i clienti verso altri prodotti postali era (ed è) abbastanza concreta. E credo si possa configurare un abuso di posizione dominante.

Una signora si lamentava e minacciava di chiamare la Guardia di Finanza per il casino che si era creato, ma nessuno, lì attorno, si faceva avanti per supportare una simile idea, e anzi la dissuadeva, perché avrebbe significato perdere altro tempo. Gli impiegati rispondevano di andare a lamentarsi dal direttore e che loro erano li dalle 8.  Il direttore, velatamente, aggiungeva che si poteva configurare il reato di interruzione di pubblico servizio. Quindi, signora, si calmi e faccia la fila zitta e muta come un normale suddito.

In una città dove la maggioranza delle persone che si reca alle Poste non ha un diploma di scuola superiore e in un contesto (il Meridione) dove vige il “tira a campare”, esperienze come queste sono all’ordine del giorno (per dire, denunciare il proprio stalker viene visto da qualcuno come un fastidio o addirittura un disonore). Protestare non serve a niente, ed anzi l’arroganza del sistema rischia che tentare di far valere propri diritti si ritorca contro chi alza la testa.

Le Poste, poi, da quando sono diventate una banca protetta (il monopolio pubblico), stanno abusando di questa protezione. Io stesso, da tempo, evito di recarmi all’ufficio postale: ho domiciliato i bollettini che potevo domiciliare, ricarico la PostePay una volta ogni due mesi e quei bollettini rimasti li pago via internet. Già adesso sarebbe possibile pagarli via bonifico SENZA pagare le commissioni postali e bancarie, ma le poste tengono “nascosti” i codici ABI e CAB necessari a tale fine. Da marzo 2010 l’Antitrust obbligherà le Poste a fornire l’IBAN per pagare le bollette, ma fatta la legge, trovato l’inganno: le Poste non obbligheranno i correntisti a fornire anche l’IBAN ai propri clienti (e scommetto che incentiveranno i correntisti a non fornirlo, continuando a incassare un euro a bolletta).

E il conto Bancoposta, per la cronaca, è veramente un conto di m***a.

Vorrei abbandonare definitivamente le Poste, perché questa esperienza ridicola mi ha un po’ esasperato: io pago come tutti gli altri clienti, pago tra l’altro cose che non dovrei pagare, ma sapete com’è, la tangente va pagata se no la macchina non si muove (senza contare che vari bollettini – se non erro, ad esempio, multe autostradali, tariffa sui rifiuti – si DEVONO pagare alla posta per motivi ignoti – a meno di non volere pensare male). Ma adesso basta. Ho varie strade: chiedere direttamente alle aziende cui devo pagare le bollette di fornirmi il loro IBAN; in caso di reticenza, seguire una procedura particolare per pagare via bonifico (per me gratuiti, altro che Bancoposta) i bollettini postali. Non tutti sanno che, infatti, l’autorità garante ha obbligato da tempo le Poste ad aprirsi al sistema ABI come una banca normale, ma la cosa non è ben pubblicizzata (e capire esattamente quale IBAN inserire non è facile). Un po’ come i treni tedeschi.

Vi terrò aggiornati: voi però non abbiate paura di alzare la testa.

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2 Comments

  1. La postepay si può caricare anche in tabaccheria tramite lottomatica. Costa un euro in più ma ti risparmi un po' di bile. Sempre tramite lottomatica si ricarica anche la prepagata paypal, costa solo 0,90 euri.

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