Termometro Finanziario: quali temi economici domineranno l’attenzione dei mercati nei prossimi mesi?

Buenos Aires - Manifestación contra el Corralito - 20020206-17

Per Termometro Politico

Si indebolisce il trend positivo che ha caratterizzato i mercati finanziari nelle ultime settimane: i rialzi erano infatti proseguiti provocando l’uscita delle quotazioni dal range che le controllava da ormai due ottave, salvo poi ritornarvi nella giornata di giovedì con crollo piuttosto vistoso, ma reso meno preoccupante dal rimbalzo degli indici sulla parte bassa del range (indicativamente 6900 punti per il tedesco DAX, 2400 per l’EUROSTOXX e 14500 per l’italiano FTSE MIB). Sarà dunque interessante osservare cosa accadrà nelle prossime settimane: quella che si apre lunedì è l’ultima settimana di vacanza e ci si aspetta il ritorno di molti operatori soprattutto dal 4 settembre, giorno che segue il Labor Day statunitense che segna la fine dell’estate americana.

Non pochi osservatori hanno lasciato intendere di ritenere che i mercati abbiano toccato un picco che li porterà nei prossimi mesi a rivedere livelli situati molto più in basso: i più pessimisti ritengono che ci sia una forte probabilità che le borse aggiorneranno i minimi degli ultimi anni, sancendo che per gli investitori la crisi è ancora lontana dal risolversi, nonostante politici e agenzie di rating, negli ultimi tempi, abbiano ribadito di vedere la luce in fondo al tunnel. I temi e relative incognite, però, sono ancora sul tavolo, e vale la pena approfittare dell’ultima settimana di vacanza per esaminare brevemente alcuni punti che occuperanno osservatori, analisti e investitori nel corso dei prossimi mesi.

L’Italia affronterà gli ultimi mesi di governo Monti: il Paese andrà al voto probabilmente nella primavera del 2013, ma c’è da aspettarsi che la campagna elettorale comincerà molto prima (e già si potrebbe dire che sia iniziata). Il clima potrebbe rapidamente accendersi, rendendo maggiormente difficoltoso il compito difficile e ancora lungo che il governo dei tecnici deve affrontare, e il rischio che il Paese torni ad affrontare la baraonda generale tutta chiacchiera e niente polpa tipica dell’ultimo decennio continuerà a pungere chiunque osservi l’Italia (e soprattutto chi deve decidere di investire sul futuro del Belpaese), soprattutto nel caso in cui le riforme strutturali si riveleranno essere una semplice mano di vernice.

L’Europa si ritroverà ad affrontare la propria crisi, con la Grecia stretta fra la solidarietà di alcuni Paesi europei e l’intransigenza di altri, ovvero fra chi ritiene che l’austerità simultanea in molti Stati UE non porterà altro che nuova recessione e che quindi servono ragionevoli alleggerimenti nelle politiche monetarie e/o fiscali in contrapposizione a chi vede nella crisi una sorta di punizione divina contro il lassismo di certi governi, specie del Sud Europa, senza considerare che l’integrazione dell’area rende tutti i Paesi della zona e quelli limitrofi piuttosto sensibili ai crolli di questo o quel Paese, per non parlare del fatto che se non si riprende l’Europa non si riprende l’intera economia mondiale. Il ritorno alla ragione sembra ancora lontano specie nel Paese guida dei falchi, ovvero la Germania, che dovrà affrontare le elezioni nel corso del 2013. Va ricordato che per molti cittadini tedeschi non è la Germania a dover entrare in Europa, bensì il contrario, e gli altri Paesi dovrebbero pure ringraziare. In quest’ottica va letta la proposta della Merkel di un tribunale economico dell’Unione Europea che dovrà punire i Paesi che sgarreranno nel redigere i propri bilanci. Nella migliore delle ipotesi, si tratterà dell’ennesimo organo che cercherà qualche posto nella complicata struttura della UE, pronto ad essere demolito quando la Germania si ritroverà in difficoltà, come già avvenuto all’alba del millennio con il Trattato di Maastricht, quando la Germania ne sforò i parametri e perciò decise (d’accordo con Francia, Italia e altri) che il Trattato era un suggerimento, non certo qualcosa di vincolante.

Negli USA comincia la corsa finale delle elezioni presidenziali (oltre alle solite elezioni parlamentari che rinnoveranno la Camera e un terzo dei senatori): martedì inizierà la convention repubblicana che incoronerà Mitt Romney quale candidato alla presidenza, mentre i democratici daranno il via allo sprint finale per Barack Obama nel corso della settimana successiva. L’elezione si preannuncia preceduta da dibattiti molto animati, come già avvenuto negli ultimi mesi, soprattutto in un campo complicato come quello economico, che ha visto inciampare in errori grossolani dettati da eccessiva partigianeria anche economisti e giornalisti piuttosto famosi, come Niall Ferguson, che preso dal livore anti-Obama, in un recente articolo sulla riforma sanitaria (tra le altre cose), ha dimostrato di non saper leggere i bilanci più elementari, giungendo a conclusioni ridicole, ma che comunque galvanizzeranno l’elettorato del GOP. Il caso, non unico, serve a dimostrare che la politica americana sarà per tre mesi bloccata dalle chiacchiere, mentre, sfortunatamente, l’economia continuerà a girare cigolando e probabilmente il QE che la Fed si prepara ad approvare avrà come esito un “too little, too late” micidiale. Intanto il nuovo anno già vede in agguato una crisi fiscale, e non è detto che il prossimo presidente e il prossimo Congresso saranno in grado di affrontarla (come non lo sono stati, con colpe condivise, il presidente e il Congresso uscenti).

Infine un sguardo sui BRICS. La Cina si ritroverà ad affrontare il Congresso del Partito Comunista che cambierà i vertici del Governo, lasciando spazio a una nuova generazione di statisti, che dovrà affrontare un Paese in bilico fra progresso e tradizione, fra crescita economica e pericoli inflazionistici, oltre che mutamenti sia interni che verso altri Paesi del mondo. L’India dovrà dimostrare di riuscire a risollevare un’economia che somiglia a un elefante appesantito dalla corruzione, la quale appare essere la principale indiziata della carenza di infrastrutture che ha portato nel baratro un’economia emergente, se si pensa alla tragedia che sta vivendo la rupia sui mercati valutari oppure al blackout che ha lasciato al buio 700 milioni di persone (inspiegabilmente, poco tempo dopo, il ministro dell’energia è stato “promosso” ministro degli Interni). Tralasciamo poi l’inflazione che continua a salire e una crisi fiscale che colpirà presto gli indiani (si comincia con gli aumenti del prezzo dei carburanti, per completare la sensazione di déjà-vu nel lettore italiano).

Problemi simili per il Brasile, che si ritrova a combattere un rallentamento nell’economia dovuto a fattori ambientali (la siccità ha bruciato i raccolti) e strutturali (la corruzione che divora le risorse destinate alla costruzione di infrastrutture), oltre che all’obsolescenza del paradigma che ha guidato la crescita del Paese, ovvero l’unione di export e protezionismo che può pure funzionare quando l’economia del mondo corre, ma quando la crisi diventa mondiale i guai sono dietro l’angolo. Per il Sudafrica va segnalato il periodo di instabilità politica dovuto alle tensioni nell’industria mineraria, che contribuisce in misura pesante all’export. Il Paese è diventato presto degno di osservazione, ma la sua crescita ha beneficiato i bianchi sui neri, a dimostrazione che se l’apartheid legale è finito, quello culturale ed economico continua a creare ingiustizie e tensioni: le varie stragi di minatori di questi giorni e le lotte fra sindacati storici e quelli più recenti sono la dimostrazione più lampante del fallimento del partito al potere, l’ANC, incapace, fra corruzioni e abusi di potere, di combattere la povertà. Conclude l’analisi dei BRICS la Russia, ben avviata a copiare il modello di sviluppo cinese. Come la Cina, anche la Russia è diventata membro del WTO, ovvero il club dei Paesi con economia di mercato certificata. L’ironia è obbligatoria: la libertà di espressione resta a livelli cinesi, mentre l’economia è in mano a oligarchi e corporation simpatici al governo del leader eterno Vladimir Putin. I risultati di questa novità, a parità di altre condizioni, sono vari: crescita economica più sostenuta (a beneficio di quali fasce della popolazione è tutto da vedersi), prezzi più bassi per i consumatori, visto che le industrie russe, in molti settori, non reggeranno la concorrenza di quelle estere, e infine trasformazione del Paese in un’economia d’esportazione di gas e petrolio, a vantaggio dei soliti noti, a cominciare dalla tentacolare Gazprom.

Merita una menzione “folkloristica” l’Argentina: il Paese, visto come esempio da molti economisti “alternativi” e da ciarlatani di ogni risma, si avvia verso il default più comico della storia. Il Paese, già parìa sui mercati internazionali per via del default di inizio secolo, ha seri problemi di inflazione, ormai non più occultabili dal bianchetto governativo; diversi governi locali sono a un passo dalla bancarotta; la crescita economica degli ultimini ha beneficiato poche persone (quelle ricche), non la collettività, e questo si è tradotto in perdita di competitività che ha rapidamente eroso l’avanzo commerciale; per ovviare al problema il governo ha saccheggiato le riserve della Banca Centrale e ne ha stuprato l’indipendenza, costringendola a sostenere le politiche governative ad ogni costo (inflazione al 20% compresa); come in una barca che affonda i topi scappano, in Argentina stiamo assistendo a un forte deflusso di capitali verso l’estero, costringendo il governo della señora Kirchner a ridurre le libertà personali degli argentini che cercavano un riparo prima dell’alluvione, introducendo controlli valutari a sostegno del peso argentino, il cui cambio, al mercato nero, è già metà di quello ufficiale; e se i capitali sono in fuga, ovviamente, gli investimenti ne risentono e il sogno di rilancio dell’economia basato sullo scisto bituminoso (in soldoni, petrolio) rischia di rimanere lontano dalla realtà, specie se gli investitori esteri vengono nazionalizzati (è il caso di YPF, compagnia petrolifera, che inspiegabilmente non effettuava investimenti, nonostante il governo le pagasse un barile di petrolio ben la metà del prezzo di mercato). Il caso argentino andrà seguito, specie se certe frange dello spettro politico italiano, specie dopo un buon risultato elettorale, continueranno a vedere un modello da seguire in tale desolante realtà.

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