Termometro Finanziario: si può fare a meno dell’euro?

Archeologico firenze, bronzi della Meloria, eschilo

Per Termometro Politico

Prove tecniche di crollo sui mercati finanziari nel corso dell’ultima settimana, con indici in altalena a seguito della superdomenica elettorale che ha interessato diversi Paesi europei. Gli occhi sono puntati ovviamente sulla Grecia: come ampiamente previsto, le elezioni nel Paese hanno dato luogo ad un Parlamento estremamente frammentato fra partiti europeisti filo-Troika (socialisti e Nuova Democrazia fino a ieri al governo), europeisti anti-Troika (la sinistra radicale di SYRIZA in grande spolvero) e antieuropeisti (fra i quali spiccano i neonazisti di Alba Dorata). Le consultazioni per la formazione di un governo che possa scongiurare le elezioni sono ad un punto morto, e il Paese potrebbe tornare alle urne già a giugno.

I problemi sono quelli noti, riassumibili nella formula”Atene non ha un euro per campare”, e ormai si fa sempre più concreta l’ipotesi che la Grecia decida di “risolvere” il problema uscendo dalla moneta unica e stampando dracme. Risolvere per modo di dire: la nuova moneta si svaluterebbe nel giro di secondi, diventando carta straccia; idem dire per il debito pubblico, divenuto non pagabile neppure ad averne la volontà; il Paese, senza più un briciolo di credibilità, non avrebbe più accesso ai mercati, e dovrebbe pagare stipendi e pensioni solo con le tasse, cosa abbastanza assurda ora, figuriamoci quando il Paese sprofonderà in una recessione che porterà via, secondo le stime, un quinto del PIL nel giro di un anno. A poco varrebbero gli effetti benefici della svalutazione della moneta, smolecolarizzati dalla realtà: un Paese che in sostanza produce solo feta, olive e Partenone (ovvero senza un settore industriale degno di questo nome) non ha un bel niente da esportare, mentre al contrario nel giro di due giorni pagherebbe il doppio tutto ciò che importa, a cominciare dal petrolio ed altri beni di non trascurabile importanza (cioè quasi tutto il necessario). L’uscita dall’euro, per la Grecia come per qualunque altro Paese, insomma, sarebbe roba da far impallidire l’austerità imposta dalla Germania e dalla Troika.

L’uscita della Grecia, inoltre, per quanto non dovrebbe essere il colpo mortale alla moneta unica (che nonostante tutto funziona ancora per lo scopo per cui è nata), non sarà scevra di conseguenze anche per il resto dell’Eurozona: se la Grecia (com’è ovvio che sarà) smetterà di pagare i propri debiti, a farne le spese saranno le banche e gli stessi Paesi che finora hanno erogato aiuti e finanziamenti ad Atene. In altre parole, il ripudio del debito pubblico ellenico si ripercuoterà sugli Stati e quindi sui cittadini europei. La soluzione più indolore sarebbe il ritorno della ragione in Grecia, con i politici locali pronti ad accettare il fatto che c’è un decennio di spese pazze e corrotte da pagare, ma pure nel resto dell’Europa, con un rilassamento delle regole fiscali a favore di un patto per la crescita europea, unico modo per risolvere davvero i problemi della zona euro. Si attendono, a  riguardo, segnali dalla Francia, con il nuovo presidente Hollande pronto a mettere in discussione le decisioni di Merkozy, ma pure dalla Germania, dove le “piccole elezioni federali” tenutesi nel Nordreno-Westfalia, hanno portato alla batosta della CDU della cancelliera Merkel e dell’austerità proposta dal suo partito anche a livello regionale. La situazione è dunque ancora molto fluida e da seguire con la massima attenzione nei prossimi mesi.

Quanto alla prossima settimana, al deterioramento sul fronte politico si aggiungerà probabilmente anche quello economico, per l’Eurozona. Lunedì il dato più importante sarà la produzione industriale, prevista a +0,4% rispetto al mese precedente, e in ribasso rispetto all’ultima rilevazione (+0,8%); martedì sarà invece la volta del Prodotto Interno Lordo, e gli analisti si attendono il secondo trimestre di calo consecutivo (un -0,2% che si aggiungerebbe al -0,3% del trimestre precedente), che significherebbe recessione in senso tecnico per l’Europa. Sempre martedì conosceremo anche il PIL di Francia (previsto in territorio lievemente negativo), Germania (al contrario, lievemente positivo), ma soprattutto dei due osservati speciali dell’Eurozona, ovvero Spagna (attesa una contrazione dell’0,3% sul trimestre) e Italia (-0,6%).

Lunedì, inoltre, l’Italia rilascerà il dato sull’inflazione che dovrebbe rimanere stabile a +0,5% sul mese e +3,3% sull’anno; più tardi in mattinata andranno inoltre all’asta BTP a 3 e 10 anni, questi ultimi fondamentali in quanto ritenuti titoli “benchmark”, mentre martedì l’indice ZEW dovrebbe segnalare che il sentiment sulle condizioni economiche in Germania e nell’area euro va avvicinandosi verso la quota zero che indica pessimismo circa i prossimi sei mesi.

Sempre martedì, dall’altra sponda dell’Atlantico, conosceremo come stanno andando l’inflazione (prevista stabile) e le vendite al dettaglio (attese invece in forte calo a +0,2% rispetto al precedente +0,8%).

I dati di maggiore interesse rilasciati mercoledì riguarderanno gli USA: si comincia con le costruzioni di nuove case, importante per il cosiddetto “ripple effect”, ovvero che l’acquisto (ma anche la costruzione) di una nuova casa, oltre a essere indicatore di ottimismo, comporta anche l’acquisto di mobili e altri oggetti necessari per arredare la nuova abitazione. Ogni nuova casa, insomma, significa consumi aggiuntivi, che sono “l’olio” dell’economia. Più tardi conosceremo il dato sulla produzione industriale, prevista nuovamente in territorio positivo, dopo lo 0,0% dell’ultima rilevazione, a sottolineare che la ripresa USA, per quanto anemica, esiste e resiste ancora. Nel corso della sera europea, infine, verranno rilasciate le minute dell’ultimo meeting della Federal Reserve USA, utili a conoscere i pensieri dei banchieri centrali fra i più influenti circa l’evoluzione dell’economia statunitense.

Anche giovedì sarà una giornata dominata da dati americani: si inizierà con i jobless claims, ovvero con le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, previste stabili a 365 mila, per poi passare al Philadelphia Fed Survey, indice che misura le condizioni del settore manifatturiero dell’area di Philadelphia ed è visto come importante indicatore di un settore fondamentale dell’economia USA.

La settimana terminerà senza dati di rilievo per gli USA, mentre l’Italia rilascerà il dato sui nuovi ordini all’industria (atteso, neanche a dirlo, ancora in territorio negativo).

Photo credits | Sailko [GFDL, CC-BY-SA-3.0 or CC-BY-2.5], via Wikimedia Commons

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