[Economics for dummies] Perché siamo più poveri? (E come ne usciamo?)

Scarsa crescita e produttività morta. In primo luogo, ‘sta benedetta torta deve crescere, ma noi veniamo fuori da dieci anni in cui nulla si è fatto per la crescita e anzi la si è azzoppata facendo esplodere la spesa pubblica sotto i governi Berlusconi e tagliando tasse a casaccio (Berlusconi, per esempio, eliminò l’ICI ai ricchi, fra cui sé stesso, creando una voragine nei conti dei comuni che oggi Monti deve tappare reintroducendo l’ICI per tutti, anche ai meno ricchi, che non la pagavano più grazie a Prodi). Discorso simile per la produttività (per la sua crescita), che è morta, cremata e sparsa nel Sahara da diversi anni. Il salario dovrebbe essere legato in primo luogo a questi fattori, e non brutalmente all’inflazione (e in Paesi che stanno meglio di noi è già così).

Cattiva redistribuzione del reddito intragenerazionale. Negli ultimi dieci anni la parte ricca della popolazione italiana è diventata più ricca (cioè le spetta più torta rispetto al 2001), mentre la parte povera (ma anche quella mediamente ricca) è diventata più povera. Questo, oltre ad essere ingiusto, è anche inefficiente: come ha scoperto Ernst Engel, tutti gli uomini spendono più o meno le stesse quantità di denaro in percentuale per medesime classi di beni, solo che chi ha più soldi di solito risparmia di più, e in un periodo di stagnazione come quello che stiamo vivendo, risparmio significa tesaurizzazione delle ricchezze, il che non stimola l’economia, non crea posti di lavoro.

Cattiva tassazione. Oggi il carico fiscale ricade principalmente sul lavoro: ciò significa che se Tizio, operaio, guadagna 30000 euro l’anno e paga TOT di tasse, Caio, che a parità di condizioni, svolgendo un’altra attività, guadagna lo stesso, paga meno tasse: ad esempio se Caio ha un condominio, ne affitta gli appartamenti e guadagna 30000, alla fine paga di tasse (se le paga) la cedolare secca del 21%; se Caio si limita a gestire un suo capitale, alla fine pagherà (al massimo) il 20% [attenzione, però, non cominciamo a sparare lotta di classe: a Caio molto probabilmente spettano meno diritti rispetto a Tizio, specie in materia previdenziale, oppure non avere le detrazioni che invece spettano a Tizio]. Tizio invece paga su una parte di quei 30000 il 23%, su un’altra parte il 27%, su un’altra il 38%. Lo dico (in parte) contro i miei interessi, ma c’è da fare una “democrazia dei redditi”: chi guadagna uguale, paga tasse uguale (e ha diritti uguale – Caio pagherà le tasse di Tizio, ma avrà le stesse detrazioni e pensione di Tizio, a parità di condizioni → ceteris paribus).

Elevata evasione fiscale. Questa è facile: ci sono servizi universali forniti a chiunque dallo Stato grazie alle tasse. L’evasore viene curato dal Servizio Sanitario Nazionale, ma quelle cure gliele paga qualcun altro, nella fattispecie il lavoratore.

Cattiva redistribuzione del reddito intergenerazionale (1). Dal 2010 circa fino al 2030 andranno in pensione i baby-boomer, cioè un sacco di gente. Se le cose rimangono come sono, lo Stato dovrà pagare un’enormità di pensioni a causa di quest’onda demografica anomala fino al 2040-2050 e forse più. Tralasciamo per carità di patria le patologie tipo i baby-pensionati, ovvero chi per un motivo o per un altro ha lavorato per vent’anni e starà in pensione per quaranta e oltre. Oggi, a causa di un ingiustissimo dualismo nel sistema di calcolo della pensione, a parità di lavoro, c’è Tizio, over 50, che prende, diciamo, 2000 al mese, e Caio, over 40, che prende 1000. Il primo è agganciato al sistema retributivo, cioè la pensione è pari a una percentuale dei suoi ultimi stipendi, a prescindere o quasi dai suoi contributi (potrebbe avere versato 1 euro nei primi 25 anni di lavoro e 1000 negli ultimi 10, per esempio, oppure 1000 da sempre, ma sempre 2000 di pensione prenderebbe); il secondo è agganciato al sistema contributivo, cioè la sua pensione è calcolata in base ai contributi versati. Ne consegue (ceteris paribus) che Tizio finisce il suo serbatoio di contributi prima di Caio (pare che chi lavori per 35 anni, al momento, accumuli contributi solo per 10-15 anni), però la pensione, essendo diritto acquisito, gli tocca finché non crepa. Chi ci mette la differenza? Chi paga la pensione a Tizio prima e a Caio poi se questi campano (e campano) più dei contributi versati? Ovvio: chi lavora, con le tasse e i propri contributi. Questo è profondamente ingiusto: la pensione è un diritto acquisito, ma non lo è l’importo della pensione stessa, che lo Stato può cambiare, e deve farlo per una questione di giustizia fra generazioni: troppi vecchi oggi campano da nababbi in parte a spese degli adulti lavoratori, ma gli adulti che andranno in pensione nei prossimi anni camperanno TOTALMENTE sulla pelle dei giovani e giovanissimi di oggi (e i vecchi di cui sopra potrebbero essere ancora vivi!), e a questi la pensione potrebbe non spettare proprio. Sia contributivo per tutti e si taglino le pensioni più elevate (anche, come sta facendo Monti pare, eliminando l’indicizzazione all’inflazione – una delle cause della stagflazione degli anni Settanta, se ricordate). Ma non è finita.

Cattiva redistribuzione del reddito intergenerazionale (2). Abbiamo detto che le pensioni oltre un certo importo vengono pagate dallo Stato attraverso le tasse. Ma chi le paga ‘ste tasse? I lavoratori, attraverso le aziende. E questo comporta un’altra differenza sostanziale fra generazioni: ci sono lavoratori con contratti di ferro e contributi previdenziali. Poi ci sono i giovani. Abbiamo detto che ogni pensionato aggiuntivo è un peso che grava sul lavoratore attraverso le imprese: infatti, dato questo peso, l’impresa potrebbe decidere di non sostituire questo pensionato assumendo un giovane, perché gli costerebbe troppo; oppure potrebbe assumerlo con un contratto precario (e ciò significa poca o punto pensione). Ciò significa che la nostra elevatissima (e crescente) spesa pensionistica non solo grava su chi lavora, ma pure su chi vorrebbe lavorare, ma non può farlo perché c’è un pensionato che gli mangia lo stipendio potenziale in tutto o in parte. Questo crea disoccupazione, incertezza verso il futuro, gli investimenti non vengono stimolati, i giovani sono costretti ad offrire i propri cervelli all’estero e questo, in ultima analisi, deprime la crescita economica: ritorniamo quindi al primo punto in questo immenso circolo vizioso.

Moltissimi altri problemi dovrebbero essere affrontati, ma sono già oltre le 2100 parole. Spero di avere reso abbastanza l’idea, quindi arriviamo alle conclusioni.

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14 Comments

  1. Insomma: ce l’abbiamo nel q e l’unica opzione è non stringere troppo le natiche? 🙂
    Parlo da lavoratore dipendente: io farei anche sacrifici tipo quelli dei tedeschi anni ’70, se non fosse che (1) i manager (e proprietari e grandi azionisti – guarda un po’ alcune sono banche) dell’azienda per cui lavoro non riutilizzerebbero il denaro guadagnato (anche solo spendendolo e aiutando la crescita) ma lo metterebbero al sicuro e (2) grandissima parte dei miei compatrioti ragiona “da furbo” (“paghi tutte le tasse? Sei uno stupido!”, “Vuoi la ricevuta? Ma perché ci vuoi anche pagare l’IVA sopra?”). Sicuramente è un ragionamento sadico, ma perché aiutare chi imbroglia? Almeno, sic stantibus rebus, e cioè con una lotta all’evasione ridicola.

      1. Ho parlato di necessità di spingere a non tesaurizzare e a investire, ad esempio agevolando fiscalmente gli investimenti. Tesaurizzi? Ti tasso. Investi nell’azienda? Ti taglio le tasse. Ho parlato di lotta all’evasione: i compatrioti fanno i furbi? Bene, eliminiamo il contante del tutto o quasi.

        Adesso si attendano le misure di Monti (che come potrai ben intuire è, almeno nelle idee, grosso modo quello che ho presentato, visto che siamo “colleghi”): è chiaro che i lavoratori dipendenti devono stringere i denti ancora un po’ da soli, ma se non cominciano a stringerli pure gli altri (e cioè se il Parlamento si mette di traverso) si vada alle Tuilieres, non è la prima volta che lo dico.

        (lo https del tuo blog non va)

        1. (L’https l’ho aggiunto non so nemmeno come e perché. Sorry)
          Se non l’hai già fatto, ti dispiacerebbe darmi una spiegazione circa l’eliminazione del contante? Ma non quella che dici tu, quella proposta dai politici e, cioè, sopra i 300 Euro. Mi spiego: o si elimina del tutto (cioè anche a prendere il caffè posso pagare con la plastica), oppure mi sembra solo fuffa. E’ chiaro che se devo pagare l’idraulico in nero non lo farò con la plastica ma col contante. Allo stesso modo mi sembra assurda la proposta della Gabanelli di tassare i prelievi di contante: ci sono cose che, al momento, posso fare solo con la cartamoneta: pagare il GPL per l’auto, ricaricare la tessera per la mensa, fare colazione (o prendere un panino) al bar, ecc. (Lo so che chiedo a te una spiegazione di idee che hanno altri, ma magari tu sai perché propongono un limite basso anziché portarlo a zero o quasi). Tnx! 🙂

  2. Non credo che il solo minacciare di stampare moneta basti. Forse basta nel breve, ma alla lunga qualche grosso investitore metterebbe la BCE alla prova.
    A quel punto la BCE potrebbe solo o stampare o non stampare. Se non stampa, l’Euro resterà quel che è oggi (passami la semplificazione da dummy): un rebranding del Marco Tedesco a cui i paesi che prima avevano valute deboli mal si adattano. Se invece stampa, l’Euro diverrà un rebranding del Franco Francese, se non addirittura della Lira Italiana.
    Perché una grossa ragione dell’alta inflazione in Italia negli anni 70 fu che la Banca d’Italia stampava per coprire i deficit.
    Ci sono paesi come la Germania che non vogliono tutto ciò. C’è un’intervista di Jürgen Stark, il membro dimissionario del consiglio esecutivo della BCE, che dice che la banca deve fare la banca e la politica va lasciata ai politici. Ovvero che non è compito di una banca centrale assecondare le necessità finanziarie di una politica.
    Giusta o sbagliata che sia, è la visione dei Tedeschi, e il patto era che aderivano all’Euro se quella condizione veniva rispettata.
    Oggi tutti chiedono alla Merkel di cedere su ciò. Ma come può dire alla sua gente che d’ora in avanti la politica monetaria sarà al servizio della politica, per di più di quella dei paesi latini? A quel punto i Tedeschi le chiederanno di far uscire la Germania dall’Euro.
    Vi è una via d’uscita, e non è né l’uscita della Germania, nell’uscita di Grecia e Italia, ma la dissoluzione pianificata, programmata e ordinata dell’Euro: ritorno agli anni 90. Mica si stava così male…

    1. Il punto è che la Banca Centrale Europea, diversamente da quanto dice Stark, non è una Banca Centrale. La minaccia di potere usare il bazooka può bastare: lo dimostrano i casi di Svezia, Regno Unito e perfino negli USA.

      Se non basta (personalmente penso di sì, se la politica fiscale degli Stati si metterà sulla retta via), l’intervento della BCE ci sarà, ma non stampando a manetta, ma attraverso il FMI con tutte le garanzie del caso.

      Quanto al ritorno agli anni Novanta, rilevo molta ingenuità: in primo luogo, non si può prendere un periodo di boom economico a casaccio. Prima degli anni Novanta, c’erano gli Ottanta, i Settanta, i Sessanta, i Cinquanta, i Quaranta, i Trenta, i Venti, i Dieci, gli Zero. Perché non torniamo al treno a vapore e al cinema muto, allora?

      In secondo luogo, il mondo non è più quello degli anni Novanta: l’Europa disunita non può sognare di competere con Paesi enormi come i BRICS o gli stessi USA, e di questa tendenza (che poi è la globalizzazione) se ne stanno accorgendo tutti, e dovunque si affermano istituzioni sovranazionali più o meno formalizzate e dotate di Sovranità. Rischiamo la riduzione a provincia, come lo era l’Europa durante la Guerra Fredda. Ma non è più nemmeno quel periodo: si va inevitabilmente verso un mondo multipolare, e pensare di potere andare contro questa tendenza è veramente un’ingenuità. O la cavalchi e tenti di esserne protagonista, oppure fai la fine dei piccoli Stati che oggi subiscono le decisioni del G20, domani di un G8 formato da USA, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Germania, Regno Unito e forse Francia (o Giappone se riescono a resistere, oppure qualche altro ente sovranazionale).

      1. Ho detto gli anni 90 per evocare il periodo antecedente l’unione monetaria in cui tuttavia vigevano le altre regole della CEE. Potremmo dire gli anni 80 dall’Atto Unico in poi, ma senza lo SME a banda stretta.
        Quello che voglio dire è che l’UE si è data un’unione monetaria (e quasi tutti hanno cercato di entrarvi ad ogni costo pensando che sarebbe stata qualcosa di grosso), ma non ha fatto dei passi più rilevanti verso una maggiore integrazione dei mercati che avrebbero determinato maggiori benefici in termini di crescita. Per esempio la famosa direttiva Bolkestein, se fosse entrata in vigore, sarebbe stata molto più rilevante dell’Euro per la ricchezza del continente. Invece, per fare un altro esempio, abbiamo l’Euro, ma sussistono ostacoli burocratici e protezionismi surretizi di vario tipo che fan sì che l’UE siano paesi ad economie diverse che però usano la stessa moneta.
        È vero che un’unione monetaria è un ostacolo in meno (assenza del rischio di cambio), ma non è un ostacolo così fondamentale. E comunque in Europa perdureranno varie valute: oltre all’Euro avremo sempre la Sterlina e il Franco Svizzero, oltre a varie altre di paesi più piccoli o poveri.
        Ad ogni modo se si insiste con l’Euro occorrerà togliere ai governi nazionali parte della sovranità finanziaria per conferirla a un organismo europeo. Ovvero saremo tutti “commissariati” da un organismo non eletto, e lo saremo in via definitiva.
        A quel punto ci sarà chi, sull’esempio dei Britannici, inizierà a chiedere l’uscita dall’UE.

        1. Eh, l’euro così non funziona, ma si vada avanti, non indietro. Indietro c’è la catastrofe nell’immediato e il declino degli Stati europei poi.

          Quanto al perdere la sovranità, questa è la scommessa della UE da sempre, non da ieri. Quanto all’organismo non eletto, in primo luogo c’è un Parlamento a Strasburgo, che un peso, piccolo, ce l’ha; in secondo luogo le decisioni in sede europea vengono prese dai governi e quelli, direttamente o no, li abbiamo eletti in qualche modo, per cui non ne farei un dramma.

          Quanto infine a UK fuori dalla UE, tranquillo, il mercato comune fa godere pure loro.

  3. >Se permetti, quello è argomentare per slogan. Perché fare l’Euro sarebbe andare avanti, mentre non farlo o dissolverlo è una battaglia di retroguardia?

    Niente slogan, dato di fatto: ritorno alle monete nazionali = catastrofe.

    >Pure i soldi dati alla Grecia, quelli messi nell’ESFS, lo spread, la recessione incombente e gli anni di stagnazione che ci attendono lo sono. Gli scenari catastrofici di uscita dall’Euro sinora paventati studiano uscite traumatiche e unilaterali. Altra cosa sarebbe farlo tutti in maniera pianificata.

    Quelli elencati sono guai, la catastrofe è ben altra. Quanto alla pianificazione, forse non ti è chiaro come funziona l’economia e la finanza: due minuti dopo l’annuncio che c’è l’idea che forse si torna alle monete di prima, l’euro passa da 1,3 a 0,13. E stai tranquillo che i mercati prima e l’economia reale poi non reagiranno diversamente. Esempio per tutti: tre minuti dopo è corsa agli sportelli. E buon 1929, ma quello vero, non quello che stiamo vivendo adesso, che a malapena somiglia a una sua caricatura.

    >Prevedi altresì il declino di Gran Bretagna, Scandinavia, Svizzera e di tutti gli altri paesi che non aderiranno all’Euro? A oltre dieci anni dal lancio dell’unione monetaria europea i numeri dicono che hanno fatto meglio di quelli che hanno aderito all’Euro.

    Avere fatto bene a non entrare non significa che uscire significa fare altrettanto bene. Ti manca la visione del sistema che c’è adesso, continui a rimanere ancorato nostalgico ad un passato che non esiste più e non riesci a vedere le conseguenze di quello che dici.

    (Btw, la Scandinavia non esiste come Paese: geograficamente comprende [almeno parte di] un Paese che nell’euro c’è entrato).

    >E il Canada, che non ha un’unione monetaria con gli USA, è anch’esso destinato al declino? E così tutte le piccole e medie nazioni nei vari continenti che non hanno unioni monetarie?

    Declino no (non tutti, ci sono 200 Paesi nel mondo), insignificanza sì (infatti parliamo di G20, non di G200, e le Nazioni Unite non contano quasi niente). L’Europa è un continente vecchio e perciò destinato o a integrarsi per avere la forza necessaria o a declinare.

    >Certo che agli Inglesi piace il mercato comune, ma si può averlo e beneficiarne senza per forza dover fare una moneta comune. La quale ha certamente dei vantaggi, ma anche degli svantaggi. Prendi per esempio Italia e Francia: paesi affini, confinanti e aderenti all’Euro. Dovrebbero essere perfettamente integrati. Invece se i Francesi cercano di investire in Italia, ufficialmente possono, di fatto ostacoli protezionisti. E viceversa: per esempio se un’impresa italiana vuole operare in Francia la burocrazia locale in molti casi gli impone di aprire una società lì etc etc… È per questo che penso che sarebbe stato meglio perfezionare il mercato unico piuttosto che fare costituzioni europee, corridoi ferroviari e unioni monetarie che poi non hanno rispondenza nella vita concreta. Ah sì, puoi andare in vacanza a Parigi senza bisogno di cambiare i soldi. Bastava la carta di credito…

    Il percorso verso l’Europa unita non è finito, e non finirà (per fortuna): la Storia insegna che è proprio nei momenti di crisi che l’integrazione europea ha proseguito nella sua strada più velocemente, e i fatti di questi giorni lo dimostrano una volta in più.

    >Si vive bene anche a Singapore dove non c’è vera democrazia e il paese è guidato da bravi tecnocrati. Non dubito che in molti scambierebbero volentieri una cattiva democrazia con un’efficiente tecnocrazia europea. Tuttavia nel momento in cui un governo nazionale si vedesse bocciata la legge finanziaria da Bruxelles, la sua classe politica avrebbe buon gioco nel dare la colpa della crisi all’Europa. Già succede oggi in Grecia; aspetta e vedrai…

    Ok, aspetto. Soprattutto di capire qual è l’Unione Fiscale che verrà fuori, perché parliamo del nulla, al momento.

  4. Negli anni ’80 il debito è divenuto incontrollabile soprattutto per via della spesa pubblica e tutte le sue ridondanze e sprechi e infine l’evasione fiscale, e NON PER LA DIMINUZIONE DELLE TASSE che anzi hanno permesso alle imprese di riacquistare una certa competitività. Negli anni ’90 la politica fiscale restrittiva e il non saper approfittare della rivoluzione tecnologica hanno segnato un po’ la fine di questo modello e la spesa pubblica non è stata poi tanto ridotta; senza contare poi che il sistema infrastrutturale è rimasto paralizzato per particolarismi regionali e che i redditi da capitale non subivano il castigo fiscale che subirono i reddita da lavoro (già perchè la Clintonics, New Economy, prescriveva tale discriminazione a vantaggio di banche e speculatori come base della crescita economica)… In conclusione si sono commessi molti più errori negli anni ’90 che negli ’80, sia nella gestione del debito, si nella pianificazione economica per cui eviterei di incolpare il toto il craxismo dei fallimenti di un’intera classe politica che c’è ormai da 20 anni…

    1. Perdona il ritardo nell’approvazione del commento, è un periodo piuttosto occupato.

      Credo non siano chiare un paio di cose: il reaganismo, in Italia, è arrivato solo a chiacchiere, e certo non sotto Craxi; non do certo tutta la colpa al craxismo, figuriamoci, sarebbe neanche da miopi, ma da ciechi. Più che gli errori degli anni novanta, tuttavia, preferisco ricordare gli ultimi dieci anni, al confronto la fine del secolo scorso è l’età dell’oro.

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