Il rischio default che non c’è (per ora)

Znak D-20I post precedenti potrebbero aver dato una idea sbagliata circa la possibilità che l’Italia vada in default nei prossimi mesi. È il caso di chiarire meglio.

La probabilità che l’Italia vada in default nei prossimi tempi è molto bassa per un motivo molto semplice: se tutto dovesse andare male, gli italiani hanno ancora tanti soldi da donare coattivamente allo Stato, si pensi solo, ad esempio, ad una nuova patrimoniale come quella che nottetempo, fra il 9 e il 10 luglio 1992, prelevò il 6 per mille dai conti correnti bancari, fino a misure ben più corpose.

Questo risolve il problema? No. Nel breve termine si limita a tappare una falla: pochi mesi dopo quella patrimoniale ci ritrovammo punto e a capo (e con altre tasse in più, tra cui l’ICI), e Giuliano Amato, l’inventore di tale patrimoniale, dapprima dovette svalutare la lira (12 settembre 1992) e poi fu costretto a dimettersi per lasciare spazio a un governo tecnico guidato da Ciampi che desse tranquillità ai mercati mentre il sistema politico cercava un nuovo equilibrio dopo il referendum elettorale: uno dei motivi della debolezza della lira era infatti visto che il sistema politico italiano fosse debolissimo per via del marcio che stava uscendo dai tombini grazie a Mani Pulite/Tangentopoli (iniziato a febbraio, e che nel 1993 avrebbe visto la difesa “così fan tutti” di Craxi, il cappio di Orsenigo e le monetine al Raphael).

La questione dell’equilibrio economico dell’Italia si sarebbe trascinata per altri anni: dopo Ciampi venne Berlusconi, che neanche a dirlo non fece nulla; poi, quando Berlusconi cadde perché la Lega Nord ritirò l’appoggio al governo, arrivò Dini che, fra le altre cose, approvò la riforma delle pensioni. Poi arrivò Prodi e l’eurotassa (restituita solo in parte e solo per finta) e, fra altri artifici contabili di cui abbiamo già parlato e misure per la crescita che almeno provavano a dare la scossa, si riuscì a riportare il Paese in equilibrio. Poi D’Alema fece l’accordo con Berlusconi, Prodi cadde, D’Alema divenne ahinoi premier, seguito di nuovo da Amato e poi comincia il decennio berlusconiano che ci avrebbe fatto arrivare a dove siamo oggi.

Succo della lezione di storia, numero uno: aumentare le tasse mette una toppa ma non sistema il buco. Se si aumentano le tasse, si deprime la crescita, se si deprime la crescita il debito pubblico si può ripagare solo con nuove tasse, che deprimono la crescita e così via.

Succo della lezione di storia, numero due: puoi anche aumentare le tasse, ma se il governo o addirittura tutta la politica è debole, dopo un po’ i mercati tornano a bocciarti.

Entrambe le lezioni non sono state imparate da questa classe politica che, tra l’altro, è l’erede diretto di quella che l’ha preceduta (Berlusconi era amico di Craxi, Tremonti si è formato sotto Craxi e così via).

Per questo motivo il default non è ancora nell’ordine delle cose: gli italiani, asini e appassionati più al tifo da stadio verso questo o quel politico che alla realtà, possono ancora essere appesi a testa in giù e scossi per tirar fuori le monetine dalle loro tasche, tanto come i capponi portati al macello preferiranno beccarsi fra di loro invece di fare piazza Tahrir davanti a Montecitorio.

Posto che il governo ha perso credibilità, e posto che le elezioni ci darebbero altri mesi di non governo, la via d’uscita è quella di un governo tecnico (parte sia rimasto solo Monti disponibile) che faccia ciò che serve al Paese senza che partiti e corporazioni possano mettere becco e annacquare le politiche, ovvero che i parlamentari votino uniti e compatti, zitti e muti, tutto quello che il governo manda, fosse pure un provvedimento per metterli a pane e acqua. L’alternativa è farlo mentre fuori la folla urla, il che sarebbe peggio.

Me la immagino la piazza Tahrir italiana: mentre Monti annuncia la Grande Riforma che, fra le tante cose, toglie privilegi a caste e corporazioni e aggiunge altre cose impopolari (tipo il doloroso ma necessario innalzamento dell’età pensionabile), Piazza Tahrir de noantri diventa una scontro fra bande che i partiti, persa l’occasione della Grande Riforma nella quiete, non possono più fermare. La gente, già incazzata di suo, vede il proprio orticello privilegiato intaccato e inizia la sommossa: i tassinari che investono i farmacisti, i praticanti che tirano codici in testa agli avvocati, i precari che tentano di entrare alla Camera e i poliziotti in sciopero li fanno entrare, e anzi si unirebbero a loro. E non sarebbe la rivoluzione francese, sarebbe solo il caos da cui probabilmente emergerà un altro leader populista come quell’altro nato dai tumulti di Tangentopoli.

Forse sono andato troppo oltre con l’immaginazione, probabilmente dopo un giorno di proteste tutti a casa perché gli italiani hanno la memoria corta e l’orticello a casa che li aspetta. Ma le conseguenze sarebbero le medesime: diceva Umberto Saba, «gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli». Gli italiani, che oggi si sono donati al padre Berlusconi pur di avere difesi i propri privilegi (basti ricordare che le liberalizzazioni di Bersani sono state smantellate da Berlusconi), domani, quando arriverà il redde rationem e saremo costretti a fare ciò che è giusto, si doneranno ancora a un altro padre perché ridia loro i privilegi di prima. Non sarebbe una rivoluzione francese e neppure una primavera araba: nessun padre viene ucciso, solo un padre che viene sostituito da un altro padre.

Per questo ho timore per il destino del mio Paese: la ricetta è “sacrifici per tutti perché tutti ne traggano beneficio”, ma gli italiani disposti ad accettarlo sono pochi. Tutti gli altri prenderanno i loro taxi (( Spiace per i tassinari se me la prendo sempre con loro, ma quel giorno di luglio del 2006 con i taxi che bloccano Roma è, per me, il simbolo di un Paese che preferisce affondare. )) , e diranno “sacrifici per gli altri, benefici per me“.

La metafora del Titanic va insomma corretta: il nostro è un transatlantico che si può salvare se tutti i passeggeri si impegnano per tappare la falla. Ma, ma: il capitano (il governo), invece di coordinare l’operazione per salvare la nave, continua a dire “non stiamo imbarcando acqua, è il legno di questa nave d’acciaio che trasuda“; parte dei passeggeri si gode il sole; qualcuno ogni tanto fanno notare il buco nello scafo che s’allarga, e dice che ci possiamo salvare se lavoriamo insieme per tapparlo; gli altri li mandano a fan…: sono troppo occupati a fare piazza pulita del buffet, che diventa sempre più povero, perché la cambusa pian piano viene svuotata anche dall’acqua che penetra.

Ma chissenefrega: basta che magno oggi.

BEEP BEEEEEEEP.

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5 Comments

  1. “Ma chissenefrega: basta che magno oggi.”
    Ciò che tiene ancora lontana una possibile piazza Tahrir all’italiana sta proprio in quest’ultima frase… all’italiano medio ancora non manca il pane, e purtroppo dispiace dirlo ma l’italiano medio ha una vista molto corta, sia nel passato (vedere gli errori ripetuti nonostante le esperienze del passato) sia nel futuro, in quanto non vede che in questo modo il nostro Belpaese un futuro non ce l’ha se non si cambia immediatamente…
    per questo prima di vedere qualcosa di simile (spero anche meno cruento) da noi occorrerà secondo me ancora parecchio tempo, e forse quando avverrà sarà anche troppo tardi…

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