Il crimine, il mercato e la legge bavaglio

Una delle leggi dell’economia, “rubata” alla biologia, dice che le imprese sviluppano una forte correlazione con l’ambiente in cui sono immerse. Come, ad esempio, le giraffe hanno “allungato” il proprio collo per raggiungere le foglie più in alto e quindi sopravvivere, così le imprese nascono, si spostano, si ingrandiscono, si rimpiccioliscono e muoiono in base alla propria capacità di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente in cui sono immerse.

È appunto in base a questa legge che si spiegano tanti fenomeni economici, come la superprevalenza di piccole e medie imprese nel nostro Paese (grazie ad un sistema fiscale particolarmente favorevole); oppure il fatto che Starbucks non riesca a sfondare in un Paese come il nostro che vive di caffè “vero”, giusto per fare due esempi.

Questa legge, tuttavia, non vale soltanto per le imprese oneste, ma anche per le organizzazioni criminali, sia pure con certe differenze. Lo sviluppo di un mercato finanziario o delle infrastrutture, ad esempio, favorisce sia le imprese normali che le mafie, mentre, al contrario, una giustizia lenta, una stampa inefficace, un’opinione pubblica inattiva hanno effetti sfavorevoli sulle imprese oneste, mentre favoriscono le organizzazioni criminali. E visto che il nostro Paese è piuttosto sviluppato (mercato finanziario avanzato integrato nell’Unione Europea, strade, ferrovie, sia pure vecchie), ma ha difetti cronici (i già citati giustizia, stampa e opinione pubblica), ecco che diventa terreno fertile per le mafie, mentre, al contrario, spaventa le imprese straniere e non aiuta quelle italiane.

Il governo italiano guidato da Silvio Berlusconi, in verità, non si è mai distinto per il suo essere liberale nel senso vero del termine. Ha, anzi, spaventato soprattutto le imprese straniere: da un lato si può pensare alla vicenda Alitalia, esperienza fallimentare di cui pagheremo il prezzo ancora per molti anni; dall’altro si ricordi la legge che ha depenalizzato il falso in bilancio in un momento in cui il mondo era nella tempesta degli scandali finanziari (noi compresi, con Parmalat e Cirio), e inaspriva le pene fino a prevedere molti anni di carcere. Questa legge crea infatti un ingiusto vantaggio per le imprese italiane, poiché queste ultime hanno incentivo a mostrare bilanci falsi ma più favorevoli (e quindi attrarre capitali e altre risorse), mentre le imprese straniere non possono, in quanto poi le manipolazioni del bilancio della controllata italiana finirebbero nel bilancio consolidato della controllante, la quale pagherebbe le conseguenze (durissime) del falso in bilancio nel proprio Paese.

Fin qui un “nazionalista” potrebbe dire che è meglio non avere stranieri in giro, che è meglio il made in Italy (ma non lo è, le imprese straniere portano ricchezza, sviluppo e lavoro, sono una manna per ogni Paese del mondo, e infatti tutti fanno a gara per attrarle). Ma poi si pensa alla giustizia, resa, negli ultimi due decenni, una macchina pesante, iperburocratizzata e senza fondi, mentre varie leggi ad personam tagliavano i tempi di prescrizione, per non parlare poi di tutti i condoni e scudi fiscali varati sotto Giulio “giuro che questo è l’ultimo condono” Tremonti, che hanno creato una devastante distinzione fra ciò che è legale, ciò che è giusto e ciò che è morale.

Queste misure, ovviamente, favoriscono le imprese disoneste (e quindi le mafie). Esse infatti possono infrangere la legge, non pagare le tasse, nascondere i capitali sporchi con facilità e senza avere timore di essere beccati, poiché non solo è molto difficile essere trovati, ma soprattutto è quasi impossibile essere condannati in via definitiva, dunque il danno che viene inferto alle organizzazioni criminali in particolare (che non pagano certo le tasse sulla droga, sulla prostituzione, sulle armi, sul commercio di bambini) è davvero minimo. Roberto Maroni, ministro dell’interno, si bea spesso delle prodezze della sua attività antimafia, ricordando ad esempio che fra il 2008 e il 2010 sono stati sequestrati ben 11 miliardi di beni mafiosi. Il problema è che il fatturato di Mafia Spa supera di gran lunga i cento miliardi di euro ogni anno (90 miliardi nel 2007, 130 nel 2008, 135 nel 2009), con un utile di circa la metà del fatturato. Inoltre tre quarti del fatturato proviene da “attività” che sono come un tumore per le imprese oneste (ad esempio il pizzo). Insomma, facendo due conti viene fuori che in due anni abbiamo sequestrato appena il 4% di ciò che la mafia ha fatturato. Ed io non so definirla proprio una vittoria. E veniamo infine all’ultimo atto: la legge sulle intercettazioni punta a mettere una pietra tombale nella lotta contro la criminalità (organizzata o meno). Partendo da un proposito tutto sommato encomiabile (se il sindaco Tizio ha un’amichetta non sono fatti nostri fin quando non le dà uno stipendio pagato con le nostre tasse o fin quando non le fa regalini pagati dai contribuenti o fin quando non la favorisce per un posto pubblico, e cose simili), Berlusconi e l’allegra compagnia dei plurinquisiti compie una strage ai danni degli onesti. Non voglio riassumere la legge bavaglio, poiché ormai è su tutti i giornali (ad esempio qui), basti evidenziare alcune conseguenze per l’economia (delle mafie e non):

  1. dal lato giustizia, questa legge permette alle mafie di essere più sicure della propria privacy, dunque potranno coordinare i propri movimenti con più tranquillità e precisione. Le intercettazioni saranno, infatti, iperburocratizzate: saranno limitate nel tempo e sottoposte ad autorizzazione continua. E, se non ci saranno cambiamenti nei prossimi giorni, va detto che i reati di tipo mafioso rientreranno nel nuovo regime, e non nel vecchio: il reato di associazione mafiosa, infatti, nella quasi totalità dei casi, viene scoperto dopo aver indagato su vari reati, i cosiddetti “reati-spia”. Non è che i mafiosi si presentano come tali al telefono: la valutazione della “mafiosità” di certi reati viene fatta, insomma, a posteriori, mentre le intercettazioni vengono a fatte a priori. La legge sulle intercettazioni, insomma, cancella una delle eredità del Maxiprocesso di Palermo: i reati commessi da membri della mafia valgono più della somma di tutti quei reati commessi da persone non organizzate, ed è facendo leva su questo che furono comminati diversi millenni di carcere ai mafiosi, ed è per questo che Falcone e Borsellino furono ridotti a brandelli, perché avevano capito tutto. Come conseguenza di tutto questo, l’impianto della Mafia SpA resterà intatto: la piovra continuerà a espandere i suoi tentacoli succhiando linfa dall’economia sana, mentre le forze dell’ordine acchiapperanno principalmente pesci piccoli;
  2. dal lato della stampa, questa legge avrà effetti su molti lati: in primo luogo, come ha ben spiegato Saviano, aumenterà la chiusura del Palazzo rispetto alla Piazza, ovvero ciò che accade dentro non sarà più noto a chi sarà fuori, e dunque controllare e punire i disonesti sarà impossibile. In secondo luogo, molte cose che avremmo voluto sapere non le avremmo sapute (qui un breve elenco) mettendo a repentaglio la nostra vita e il nostro portafoglio. Inoltre addormenterà le inchieste contro la mafia, facendo sentire più soli coloro che sono coinvolti in un’indagine (ad esempio, Tizio denuncia dei mafiosi, scattano le indagini, ma i giornali non possono parlarne, dunque le gente onesta avrà più difficoltà ad esprimere vicinanza e solidarietà a Tizio, che quindi sarà facile bersaglio della vendetta mafiosa, visto che è più facile ammazzare uno sconosciuto che un eroe – Falcone e Borsellino docent, ammazzare gli eroi non fa bene all’immagine); ancora, l’impossibilità di parlare dei magistrati che danno la caccia ai mafiosi lavorando pure a Ferragosto (misura questa contenuta nel programma della loggia massonica sovversiva P2, di cui Berlusconi era la tessera numero 1816), renderà più difficile coalizzare l’opinione pubblica sana attorno a questi magistrati, per sostenerne il lavoro (e anch’essi, isolati, saranno facile bersaglio delle mafie), mentre i magistrati “cattivi” (e purtroppo ce ne sono) potranno sfuggire all’indignazione popolare grazie al provvidenziale anonimato; infine i giornalisti saranno meno protetti dalle vendette per le inchieste scomode, basti pensare a Lirio Abbate, salvato da una vendetta mafiosa proprio grazie ad un’intercettazione che oggi rischia di essere vietata. Il bavaglio conseguente a queste norme tocca anche l’economia: la lotta contro la mafia, infatti, vive soprattutto del sostegno della gente prima che della guerra guidata dai magistrati antimafia, poiché la mafia, al contrario, vive del torpore della gente. Se non c’è un informazione corretta, imparziale e tempestiva, la gente non si sveglierà dal torpore, non avrà scatti d’orgoglio che li porterà a liberarsi dalla morsa assassina della mafia, non denuncerà le estorsioni e le minacce, non boicotterà le imprese che pagano il pizzo e tanti altri atteggiamenti che aumentano le dimensioni di quel cancro schifoso che è la mafia.

Per questi e molti altri motivi la legge sulle intercettazioni, la legge bavaglio, sarà un duro colpo non solo per l’Italia che ancora combatte per avere un Paese civile, ma anche per chi vuole semplicemente vivere con la forza del lavoro onesto, le proprie idee, passioni e capacità. Questa porcata, infatti, crea tutte le condizioni per:

  1. allontanare le imprese oneste, sia straniere che domestiche, poiché non potranno competere con le disonestà, le corruzioni, le evasioni commesse dalle varie cricche, dai sistemi gelatinosi e, ovviamente, dalle mafie, tutte cose che resteranno impunite;
  2. favorire l’ingresso e l’espansione delle imprese disoneste in altre zone d’Italia, come i recenti arresti per ‘ndrangheta a Milano hanno dimostrato (mentre il comune di Milano, il sindaco Moratti, il prefetto Lombardi dicevano che la mafia a Milano non esiste).

Gli effetti sono evidenti (e validi non solo per il Sud Italia ma anche e soprattutto per il Nord, dove anzi ci sono più soldi e quindi più mafia, anche se meno “spettacolare”, più mimetizzata): le imprese oneste producono ricchezza e sviluppo, le imprese disoneste invece li divorano. In parole semplici, le imprese oneste pagano le tasse, fanno ricerca, danno lavoro, le imprese disoneste non solo non fanno ricerca (la mafia non ha inventato l’iPhone, non ha scoperto un nuovo farmaco, eccetera), non solo danno lavoro prevalentemente in nero, senza contributi (e senza garanzie di sicurezza sul lavoro, male che vada, se Caio cade mentre sta costruendo un ponte, lo infiliamo in un pilone di cemento), non solo non pagano le tasse (ma approfittando comunque di tutti i servizi, dagli ospedali alle strade che paghiamo noi), ma le rubano pure: si pensi alla corruzione, che ruba le tasse con un metodo che ho descritto qui, ma anche alle opere pubbliche costruite al risparmio ma pagate a prezzo pieno (Tremonti stacca un assegno per costruire con calcestruzzo de luxe, ma io invece costruisco con la sabbia di mare… e poi crollano gli ospedali), pur senza corrompere nessuno.

Dunque la legge bavaglio è l’ennesimo decisivo tassello che rende l’Italia il Paese più florido d’Europa per le imprese disoneste e le mafie, grazie all’esplosivo cocktail di sviluppo (siamo un Paese del primo mondo, dopotutto), leggi vergogna e integrazione con l’Unione Europea, un mercato straordinariamente vasto a disposizione di Cosa Nostra e compagnia bella, che possono utilizzare l’Italia come base per la conquista dell’Europa, così come hanno utilizzato il Sud Italia in generale come base per la conquista dello stivale.

In attesa che l’Europa comprenda (cosa difficile, visto che i) le leggi sulle intercettazioni sono realmente, in alcuni Paesi, più garantiste delle nostre, ma quei Paesi non hanno le nostre mafie e le nostre cricche, non ancora, almeno; ii) la stampa in Italia è imbavagliata da decenni, ma l’Europa non s’è mai mossa – avete presente il conflitto d’interessi?), occorre combattere in ogni modo contro questa legge, e far presente che non è soltanto in gioco una questione di principio, ma soprattutto il denaro che ci permette di essere curati negli ospedali, di mandare i figli a scuola, di avere una pensione, di spostarci da un luogo all’altro con le strade, di essere protetti grazie alle forze dell’ordine e alla magistratura e tante altre cose che diamo per scontate, ma che invece i corrotti, i corruttori e i criminali in generale ci tolgono pezzo a pezzo giorno dopo giorno.

Questa legge, nata, come ogni legge porcata, con buoni o almeno rispettabili propositi, ma scritta in modo schifoso e criminogeno, ha conseguenze molto, molto più rilevanti, soprattutto nel lungo periodo, rispetto a quelle che vengono riportate anche dai commentatori più allarmisti. Combattere questa legge non è solo una questione morale: al diavolo l’etica, cerchiamo di essere concreti, questa è l’ennesima legge che nel medio-lungo periodo (diciamo dieci anni?) ci toglierà la salute, l’istruzione, toglierà il pane dalla bocca dei bambini, come tante altre leggi vergogna, le amnistie varate già ai tempi della Prima Repubblica ce li stanno togliendo oggi. I criminali non si combattono sic et simpliciter perché la giustizia deve trionfare, ma perché il crimine crea danni economici che si ripercuotono sull’intera società, il crimine ruba alle persone oneste, a tutte le persone oneste, anche se viene rubata solo una mucca è un danno per tutti, pure per i vegetariani e gli intolleranti al latte. Figuriamoci poi una legge del genere che salva chi ruba l’equivalente di milioni di mucche.

Questa è una legge pericolosissima, perché non la si può neanche definire ad personam, visto che salva indiscriminatamente chiunque commetta un reato, e non credo sia un caso che la si volesse varare proprio mentre il Paese intero era distratto dalla Coppa del mondo di calcio, come si tentò di fare già nel 1994 (regnante Berlusconi, ovviamente) con il decreto salva-ladri.

Oggi non si c’indigna, non si minaccia il linciaggio, come facevano i leghisti e quelli di AN nel 1994. Oggi, al massimo, si tratta. Emendiamo qui, allunghiamo lì… il problema è che l’impianto di questa legge è bacato nelle fondamenta: la “scusa” è garantire i cittadini onesti da intercettazioni inopportune, che però non ci sono. Le persone intercettate sono pochissime, e i numeri lievitano solo perché le stesse persone si fanno intestare più utenze telefoniche nel tentativo di sfuggire alla Giustizia. Finisce che la “ratio” della legge è garantire i cittadini disonesti da intercettazioni opportune.

L’aumento delle garanzie dei cittadini (onesti e disonesti) deve essere controbilanciato da più pervasivi poteri della magistratura. La lotta al crimine non è la pesca del tonno: io intercetto Tizio per omicidio, ma scopro che ha “solo” rapinato una banca; qualcuno vuole che Tizio non possa essere arrestato, perché la pesca a strascico è una brutta cosa (si rischia l’estinzione dei criminali con le pinne gialle?). La lotta al crimine non è nemmeno Supermario, che se il magistrato non finisce il livello entro il tempo stabilito perde una vita. La vita rischia di perderla qualcun altro se il magistrato non interviene, e non c’è alcun fungo che possa salvarlo.

In conclusione, la legge bavaglio è solo l’ultimo sintomo di un più vasto male che ha colpito l’Italia in quest’ultimo decennio criminogeno, ed è ora di cominciare a curare questi sintomi, perché può essere l’ultima occasione per fermare questa deriva. Ogni legge che toglie poteri ai magistrati, ogni parola che toglie fondi e tempo (di prescrizione) alla Giustizia, ogni cavillo, ogni condono, ogni abolizione, ogni depenalizzazione, ogni legge ad personam significa creare terreno fertile per l’erba cattiva, per i criminali, per i disonesti, che rubano la vita, il denaro, il futuro alla gente onesta. Non è un caso che l’ultimo decennio di leggi criminali (e di politica economica ideata da un incapace) sia coinciso con un decennio di crescita della ricchezza nazionale praticamente a zero.

Bisogna dire basta, perché, anche se non sembra, ogni disonesto mette le mani nelle tasche di tutti gli onesti, neonati compresi.

Scritto per Diritto di Critica

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