Italia vuol dire Abruzzo (e viceversa)

Il problema del terremoto in Abruzzo non è che qualcuno l’aveva previsto. Ci sono fatti che sono sotto gli occhi di tutti:

  1. In Abruzzo lo sciame sismico durava da mesi;
  2. Sono crollati i palazzi del potere (ormai famosa l’immagine del “Palazzo del Governo” coperto di macerie), e sono inagibili pure gli ospedali, tanto che i feriti vengono curati alla men peggio;
  3. Ho visto palazzi in cemento armato accartocciati.

Passi che si sapeva che l’Abruzzo, come una bella fetta d’Italia, è a rischio sismico: non si può prevedere un terremoto nel quando, ma si può “prevedere” l’an, ovvero che prima o poi arriverà. E allora è fondamentale la prevenzione.

Tra le altre cose il terremoto in Abruzzo non è stato neanche granché, quanto ad energia sprigionata (la magnitudo), ma è stata devastante per i danni (nono grado su dodici della scala Mercalli). In Giappone un terremoto simile avrebbe generato l’ilarità in strada.

Adesso i tg si soffermano su questo Giampaolo (Gioacchino) Giuliani che avrebbe previsto il terremoto: ma in verità, non ce ne frega una mazza, si tratta solo dell’ennesima arma di distrazione di massa.

Guido Bertolaso, con Silvio Berlusconi accanto, oggi si beava del fatto che la macchina dei soccorsi è stata fulminea. Ma perché non è stata fulminea anche nella prevenzione? Come mai sono crollati edifici nuovi, in cemento armato? Come mai sono crollati palazzi istituzionali, che oggi dovrebbero essere la sede della direzione dell’emergenza, invece delle tende prese a prestito da Gheddafi?

Quasi viene da ringraziare che la scossa sia arrivata di notte: qualche anno fa a San Giuliano, in Puglia, il terremoto venne di giorno, crollò una scuola e fu strage di bambini. Fosse successo di giorno anche in Abruzzo, magari sarebbe morto qualche politico in quel palazzo del governo: sarebbe stato un bel paradosso.

Dunque, non abbiamo imparato nulla? Quante altre San Giuliano, quanti Abruzzi sono pronti a crollare al prossimo terremoto? Riusciamo a renderci conto che dobbiamo paragonarci con le regioni dimenticate della Cina o della Turchia, quando si tratta di terremoti? Insomma, siamo ancora un Paese del primo mondo? L’Italia è tutta un Abruzzo, dal Friuli alla Sicilia.

Chi ha costruito quegli edifici, chi ne ha verificato la loro falsa agibilità, chi non ha controllato, chi si è inventato qualche legge per derogare al buon senso e fotografare un’assurda situazione di fatto (e sono sicuro che c’è) invece che imporre la sicurezza, tutta questa gente dovrebbe sparire dalla faccia di questo Paese. Lo sta dicendo or ora pure Bruno Vespa che “qui qualcosa non va”, che “le nostre città da decenni e decenni non sono sicure a livello sismico”, vorrà pur dire qualcosa?

Adesso si guarda al futuro. La scossa di terremoto va presa come un avviso: in questi mesi abbiamo parlato di progetti che brillano per la loro assurdità.

Abbiamo il piano casa: il nano buffone piduista vorrebbe aumentare le case del 20% sostanzialmente ad cazzum. Se qualcuno dei suoi consiglieri ha un cervello, dovrebbe dirgli che forse è meglio mettere in sicurezza il 100% delle case che già ci sono, invece che permettere un condono preventivo per aumentare del 20% le macerie del prossimo terremoto.

Abbiamo il ritorno al nucleare. Oltre alle questioni puramente economiche, che rendono idiota il puntare sul nucleare, va ricordato che il terremoto non è che faccia tanto bene alle centrali nucleari, specialmente se sono costruite come i palazzi di cemento armato de L’Aquila. Chissà a quale impresa collusa con la mafia andrà l’appalto per la sua costruzione nel bel mezzo di una faglia.

E abbiamo infine il ponte sullo Stretto di Messina. Messina, quella città che fu azzerata nel corso del terremoto del 1908 (insieme a Reggio Calabria, l’altro capo del ponte), adesso dovrebbe ospitare un’opera mastodontica di cui non è ben chiaro il significato né l’utilità. Intanto si hanno notizie di uomini d’onore di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta che sono morti per eiaculazioni multiple per il piacere di avere a disposizione un’opera così grande da riempire di cartongesso o di cadaveri, a seconda della materia prima disponibile.

Tanto poi, se pure dovesse crollare il ponte, che je frega: loro si sposteranno con le navi da quaranta metri che hanno tanti nullatenenti come loro.

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